Rome In Monochrome - Away From Light (CD)

dark metal, BadMoodMan Music, BadMoodMan Music
533.33 Р
Цена в баллах: 800 баллов
BMM. 083-18 x
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Дебютный полноформатный альбом итальянской группы Rome In Monochrome, причудливо смешавшей в своей палитре doom, shoegaze, slowcore и post-rock. Rome In Monochrome – это триумф изоляции, строгая маска, чтобы скрыть абсолютный жизненный бред, фотоальбом, полный размытой пейзажей брошенных сердец. Композиции альбома – элегантные, личностные ритуалы, перед лицом призраков и болезненных воспоминаний. Ты утонешь в, ослепляющем море боли и горя, в водовороте ласкающей пустоты. Мелодичные гитары, меланхоличные, как и отчаянный вокал, сделают атмосферу отрешённости и грусти насыщенной и, вместе с тем, притягательной. Присоединяйтесь к секте отсутствия цвета.

Треклист:
1 Ghosts Of Us 6:34
2 A Solitary King 6:30
3 Paranoia Pitch Black 7:45
4 Uterus Atlantis 4:05
5 December Remembrances 9:24
6 Until My Eyes Go Blind 3:17
7 Between The Dark And Shadows 6:46
8 Only The Cold 9:39

Артист:
Rome In Monochrome
Страна артиста:
Italy
Год альбома:
2018
Название:
Away From Light
Стиль:
dark metal
Формат:
Compact Disk
Тип:
CD
Упаковка:
Jewel Case
Лейбл:
BadMoodMan Music
Кат. номер:
BMM. 083-18
Год издания:
2018
Штрих-код:
4627080611306
Страна-производитель:
Russia
Review
The Pit of the Damned
6.5/10
01.02.2019

A quasi un anno dalla sua uscita, ma per incolpevole ritardo, ecco giungerci fra le mani l'album di debutto dei nostrani Rome in Monochrome, 'Away From Light', rilasciato dalla potentissima label russa Solitude Productions nella sua sub-label BadMoonMan Music. La proposta del quartetto italico, ripercorrendo le orme di gente del calibro di Novembre e Klimt 1918, tanto per fare due nomi a caso, ma rifacendosi anche al loro stesso moniker, si muove nell'ambito di un doom malinconico in bianco e nero che chiama in causa anche un che dei Katatonia più alternativi. Certo, ho citato nomi importanti quindi le aspettative potrebbero essere elevate, vorrei però sottolineare che siamo ancora parecchio distanti dai maestri del genere, anche se i Rome in Monochrome potrebbero rappresentare una discreta alternativa agli originali. Otto le tracce a disposizione della compagine italiana per convincerci della bontà della loro proposta, che parte dalle soffuse atmosfere di "Ghosts Of Us", song dal flavour dark rock che solo nel finale rende più aspro il proprio sound per il solo fatto che un growl sostituisce un cantato pulito a dire il vero un po' titubante. "A Solitary King" ha un piglio più dinamico, sebbene le clean vocals del frontman non abbiano grossa presa sul sottoscritto, considerando poi una musicalità che si mantiene costante nel proprio lento fluire e che vede solo rare intemperanze alterare quell'incedere quasi etereo, che finalmente nella seconda parte del brano, ha modo di crescere ritmicamente e divenire più robusto e convincente. Convincente quanto "Paranoia Pitch Black", una song che poteva stare tranquillamente nell'esordio dei Klimt 1918, o in un disco come 'Arte Novecento' dei Novembre (ah peraltro in questa song, il cantato in scream è ad appannaggio del buon Carmelo Orlando, frontman dei Novembre stessi). La proposta della band laziale è interessante, ma c'è ancora qualcosa che non mi convince, sembra quasi che le manchi quel quid che le permetta di decollare. È il caso di "Uterus Atlantis", un brano semi-acustico, che potrebbe evocare un che degli Antimatter, però anche in questo caso, la band inglese la vedo ancora troppo superiore ai nostri. Il disco alla fine non ha troppi sussulti: forse la mia song favorita sarà "December Remembrances" che, se non è la traccia più aggressiva del lotto (e quell'aggressività la metterei fra virgolette), sicuramente risulterà tra le più lunghe, con i suoi abbondanti nove minuti di sonorità emotivamente rassegnate. Ancora qualche pezzo claudicante, per arrivare a concludere con "Only the Cold", dove il doom dell'act capitolino sprofonda nelle tenebre di una proposta che rivela una maturità artistica ancora non del tutto formata. Sicuramente ci sono buone idee, ma quello su cui lavorerei maggiormente io, è eliminare quella statiticità che permea ogni singolo brano, per questo poco caratterizzato ed elettrizzante. Per ora 'Away From Light' è solo un discreto esordio sulla lunga distanza, direi che c'è ancora da lavorare parecchio per ottenere ottimi risultati.

Author: Francesco Scarci
Review
Doom in Aeternum

Han transformado mi memoria en un olvidadizo pasajero, viajando en el tren de la circunstancia. Con el tópico de la lluvia sobre el cristal de la ventana de mi asiento, veo marchar con rapidez las gotas frías de un otoño furioso. Son tantos los balanceos en los cruces de vías que las alternativas se ven muy difusas. Su melodía es la estación, y la estación es Otoño… no podrían estar en otro lugar, tiempo ni memoria. Regresando a la realidad, creo que está, o sigue lloviendo, si continúo unida a la metáfora del tren, y aunque no entiendas mis palabras, y se piense qué significado tiene con todo esto… os haré saber muchas cosas, y a la vez os confundiré.

Ése es el juego de ROME IN MONOCHROME. El sonido de la banda italiana circula por el silencio de mi habitación, y sólo puedo ladear la cabeza, mover el sillón en círculos, y esperar a que cualquier cosa se avecine. Escribo en esos días, donde las calles, por fin, se van primando de ése ambiente, del olor gélido, de la esencia que deja el silencio en las asustadizas personas al encontrarse de golpe con la realidad y no con sus fantasías. La gente es cobarde, mentirosa, cruel y absurda. Oscuras intenciones, miradas inquisidoras. Canciones delicadas, pequeñas sutilezas, furiosas y dulces como cada una de las líneas que podemos observar, palpar en “Away From Light”. Éste álbum esconde una fuerza abismal tras el espejo de una voz sentimental de sal y pimienta. De unos instrumentos rudos y bien colocados para realizar un papel protagonista de una obra dirigida por la pura esencia que desprende ROME IN MONOCHROME. Es muy fácil describir una a una las canciones como si fueran el índice esquelético de un libro. O cinco líneas de una supuesta crítica aparecida en ésas revistas “con nombre subrayado dos veces”. Si fuese músico y viese que mi trabajo sólo vale el efímero esfuerzo de una persona que desliza los discos de bandas, como el croupier que reparte cartas sobre la mesa con tapiz verde… me decepcionaría.

Aquí, en nuestra casa, cuando nos encontramos con éstas situaciones nos hierve la sangre. Observamos dos situaciones: una reseña de cuatro líneas, pero de un párrafo donde la línea sólo son seis palabras, aun así “importante” porque aparece en una Web o revista de “renombre”. ¿Son de renombre por llevar tiempo, por tener una revista o por hacer miserables mini escritos?, y segundo: Ver cómo una banda se emociona sólo por que aparece en ese sitio. A esas personas les diría que sólo son carroña para los buitres. Hoy estás tú, mañana te olvidarán, y pasado otra banda ocupará tu lugar. Esto sólo ha sido una reflexión muy simplificada de lo que realmente pensamos muchas personas, pero pocas saben reconocer. Pienso que tanto una banda que acaba de comenzar, como otra que lleva cinco discos, o una banda de treinta años se merecen el mismo esfuerzo y empeño en contar la historia del álbum que acaban de lanzar. ROME IN MONOCHROME se merece un empujón, un apretón de manos y un “gracias” por el trabajo realizado en ”Away From Light”, y por hacer que la persona que está escribiendo esta reseña agote su tiempo en escribir lo que siente, lo que le provoca y lo que desea transmitir a los lectores. Todo esto es un círculo donde todos nos deberíamos de apoyar. El músico + su disco + oyente + reseñas + adictos + organizadores + conciertos + banda + apoyo = el infinito musical. En verdad la última línea que he comentado sólo existe un 5%.

ROME IN MONOCHROME nos ha traído un álbum que va más allá en su trayectoria, una firma de su estilo tan especial y de la fortaleza para hacerse un hueco en un mundo muerto. Sólo nos queda comentaros una cosa: Disfruta.
Review
Metal Wave
8/10
26.07.2018

Positivo esordio sulla lunga distanza per i Romani Rome in Monochrome, che in circa 54 minuti ci consegnano un esempio piacevole di ciò che sostanzialmente chiamerei post/doom, ovvero una musica che parte da dei riffs perlopiù melodici e anche abbastanza semplici, su cui si staglia una tessitura di fraseggi e arpeggi tipicamente post e poco distorta, nonché una batteria dal tempo medio lento e una voce dal suono dimesso, ma non languido o lagnoso.
Non è tanto facile proporre un mix tra questi due generi, perché inevitabilmente spesse volte si finisce per esagerare in un genere o nell’altro, ma qui i RIM propongono un ideale nesso, che spazia benissimo tra le sonorità in comune di questi due generi, finendo a volte in certo Funeral Doom nell’opener “Ghosts of us”, o nella più guitar oriented e decisamente riuscita “Paranoia Pitch Black”, senza far mancare l’episodio totalmente doom come “Only the cold”, o la migliore di tutte “December remembrances”, vagamente in stile Amorphis o The Eternal e che per un certo tocco romantico è senz’altro il brano che mi ha convinto di più. Ne risulta un disco che dunque non brilla tanto per passaggi mozzafiato, ma per una notevole dinamicità del sound e per un ottimo equilibrio delle influenze compositive, con un risultato che sulle prime parte innocuo in molte delle canzoni, ma che nel prosieguo non manca di interessanti cambi di marcia e altre idee, che rendono l’intera proposta genuina in quanto scevra dalle lungaggini del post, ma anche da certo doom senza feeling che punta tutto sui suoni bassi e niente più. Poi sì, magari i riffs possono essere più originali, ma francamente te ne puoi anche sbattere: i punti positivi non ti fanno accorgere di questo particolare.
In conclusione: bella prova, e ottimo inizio. Forse non un capolavoro e anzi con una personalità migliorabile, ma ciò non toglie che “Away from Light” dei Rome in Monochrome è davvero un buon album che sa anche rivolgersi a un pubblico che non sia solo post. Se il doom, gothic/doom e il funeral doom sono gli ascolti che adorate oltre al Post, per me l’acquisto di questo disco è più che consigliabile.

Author: Snarl
Review
Metalhead.it
8/10
16.08.2018

Copertina e titolo non lasciavano molto spazio ad interpretazioni, se poi ci aggiungi una casa produttrice da un nome così particolare e decisamente a tema… Insomma, prima di ascoltare i Rome In Monochrome avevo già capito le sensazioni che mi avrebbero pervaso. Malinconia, struggimento, tensione al ricordo e ai rimorsi, mestizia e quanto di deprimente l’animo umano possa concepire. A me personalmente piace questa musica, ti lascia il tempo per buttarti giù e ragionare su quanto di grigio e triste c’è dentro ciascuno di noi. Per buttarci in questo baratro i capitolini si ispirano ai Novembre, la voce simile a quella degli Opeth, le strutture canzoni piuttosto vicine a certe sonorità depressive meno oltranziste. Ogni tanto brevi accenni di growl rompono canzoni tranquille e relativamente allungate e soffuse, quasi a volersi ribellare, seppur senza risultato, alla negatività. Ma non si deve pensare al gruppo come fautore di negativismo puro. Per me queste sonorità sono un tentativo di trascinare l’ascoltatore solo per fargli vedere le cose da un’angolazione eletta, lì dove i colori non ci sono più e tutti possono giudicare senza remore e pregiudizi. Per poi magari risalire la china e vedere la luce con nuova consapevolezza. La produzione è a livelli professionali, il disco non ha alcun accenno di riempitivi. Sicuramente i fans dei gruppi prima citati ascolteranno volentieri i romani, per tutti gli altri sarà una piacevole sorpresa.

Author: Enrico Burzum Pauletto
Review
The Egyptian Metal Archive
9/10

The first track of the album is “Ghosts of Us”, the tracks is opened with attractive guitar sounds, and their melodies are like a sneaking one in the darkness, feelings of confusion, and fear. Even the vocals are like a one who describing a scene, “I’ve only seen the ghosts of us, this may kill me now”
The mood of the track is very darkened, and bleak, you are listening to the sounds of darkness, and watching moving creatures in the air.
A combination between fact, and fiction, reality and dreams.
The final part of the track carries a growling part with clean vocals echoes dancing with the impressive guitar sounds.
“A Solitary King” is the upcoming track, this track is somehow more painful, the lyrics actually painted hard image for solitary and emptiness.
That’s why the vibes of the music are somehow faster, more active, even the drums beats are higher.
Actually you can touch the essentials of Postrock morning sounds in the harmonious riffs, and catch the pain in the following calling with “A Solitary King” with real depressed clean vocals “Here where I live, from when I was born, I was always here, each frame of memory is like this”
The repeated diction is stressing the concept of no-exit, specially with growling with a clean vocals background, actually in my point of view, it is the best track in the album
Moving to my favorite “Paranoia Pitch Black” which opened with blackened guitar distortions moving to more painful, aching sounds. Idk why the music leads me to touch my own misery, yes I failed everyday, I lost all my targets, I carry heavy burdens, too heavy to stand up again!
In my early morning, I hear existential sounds, counting my scars, listening to unorganized sounds from my mind, watching me falling every moment!

“Screaming inside
This Endless snow of heart
Screaming at the unpresent
Covered by the past”

Which made my feeling pour more is the painful screaming in the last part of the track with clean repeating of “Pitch Black”
“Uterus Atlantis” it was a somehow slow, calm track. It is like someone who is watching everything around him ending.
Drums style are influenced with Funeral Doom, and the whole mood of the track is closer to Atmospheric Funeral Doom without heavy guitar sounds, the performance of the vocals is so catchy, and emotional
“December Rememberence” is the following one, we back to the heavy guitar sounds again, with memories echoes, the intro is very dynamic, and carries various guitar notes. Its theme is so close to “Ghosts of us”.

“I slept with ghosts for you
I sang with Saturn for you
I stared at the abyss
I walked the line for you”

Actually, this track is a unique one because it carries different riff movements, and various musical techniques, it is so attractive, and catchy.
The next track is “Until my Eyes go Blind”, a harsh title with very painful intro and scorching sounds of violin, is like painting a black and white blur picture.
It is the only instrumental track of the album.
This track is so special, it is closer to Empyrium, and Uaral instrumental parts of their tracks.
We can say that “Until my Eyes go Blind” is just an initiative for “Between the Dark and the Shadows”, the riffs of the guitars of both track are somehow near, the presence of slight atmospheric/ambient touches.
As the track is talking about two moods, each musical movement reflects a certain mood, between: calm and rage, pain and relief, light and dark, and Black and White.
“Only the Cold” is the last track of the album, and the longest one.
It is slow- tempo track, so close to Funeral Doom style, idk it reminds me of “Another Room” track by 40 Watt Sun, and some tracks by A Young Man’a Funeral.

Conclusion
The album is a magnificent piece of art, I liked the variety of sounds and vocals, really enjoyable, full of Postrock morning vibes.
The quality is very good one, the composition is really good.
My only negative comment is the sounf of growling needed to be lower a little bit, and to carry more harsh vocals pitches.

By: Rana Atef a.k.a (Dark ~~ KniGhT)
Review
Heavy Metal Heaven
8.4/10

La desolazione e la malinconia al potere: così si può ben descrivere la musica dei Rome in Monochrome. Provenienti – come dice lo stesso monicker – dalla capitale d’Italia, hanno esordito nel 2015 con il l’EP Karma Anubis, di cui mi ero già occupato su queste pagine l’anno scorso. Risale invece allo scorso 16 marzo il primo full-length del gruppo, Away from Light, uscito grazie a Solitude Productions. In esso, i Rome in Monochrome sviluppano ed evolvono il genere già sentito nell’EP: di base è un doom espanso, seppur rispetto al passato il gruppo pesti più sulla potenza. Ma sono solo momenti: di solito abbiamo un album dilatato e molto melodioso, anche più che in precedenza, che punta più su sensazioni desolate e malinconiche che sull’impatto. Remano in questo senso anche i tanti influssi su cui Away from Light può contare: a quelli post-rock già sentite in Karma Anubis, qui i Rome in Monochrome uniscono suggestioni gothic che rendono il tutto più elegante. Il risultato finale ricorda una versione più dilatata e post-metal di gruppi come i My Dying Bride più calmi e i Draconian, ma senza essere derivativo: per quanto forse non sia un’innovazione radicale, lo stile dei capitolini è almeno personale. Ma non c’è solo l’originalità: dalla loro i Rome in Monochrome hanno anche una buonissima capacità di creare atmosfere crepuscolari, ricercate, mai banali: Away from Light riesce ad avvolgere bene per buona parte della sua durata. Tuttavia, a volte questa ricerca si spinge un po’ troppo oltre, come se la band esagerasse nel cercare l’atmosfera a tutti i costi: è il difetto principale dell’album insieme a un po’ di omogeneità e a qualche sbavatura. Sono limiti che precludono il capolavoro probabilmente nelle corde dei Rome in Monochrome; non impedisce però a Away from Light di essere un buonissimo lavoro.

La opener Ghosts of Us parte da un lungo intro molto placido, con solo un paio di chitarre pulite e il basso lieve di Riccardo Ponzi che si incrociano in arpeggi, per un effetto mogio, desolato. Solo dopo oltre un minuto e mezzo questa base cambia: all’inizio appare la voce di Valerio Granieri, triste e bassa, e poi la batteria di Flavio Castagnoli, accompagnata da echi post-rock. È da qui che prende il via una base più metal, ma sempre molto dilatata: per quanto sia metal a tutti gli effetti, il riffage è molto rarefatto, e accompagnato da circolari chitarre “post”. In più, questo lascia presto spazio a un ritorno di fiamma dall’inizio, riletto in maniera più cupa e post-rock ma senza spezzarne la calma. Solo nel finale la base metal si fa più incisiva e potente, con tanti echi a intrecciarsi su una base che resta però malinconica e lontana. Ne risulta un pezzo molto melodico, ma non un problema: l’atmosfera che crea è splendida, e introduce al meglio l’album che apre! Va però ancora meglio con A Solitary King: il suo preludio, circolare e calmo, con ancora influssi “post”, fa pensare a una traccia analoga alla precedente. Pian piano però la norma comincia a crescere, fino a esplodere in un pezzo più movimentato e potente, doom metal con un’anima gothic abbastanza spinta. Sul tempo ondeggiante di base, Gianluca Lucarini, Alessio Reggi e Marco Paparella intrecciano un riffage movimentato, energico, un lead melodico e malinconico e lievi echi di chitarra pulita, il tutto corredato dalla mogia voce del frontman. È una falsariga che regge sia le strofe, più dirette e pesanti, sia i ritornelli, più atmosferici e dilatati, con giusto poche variazioni. Ma nonostante questo il brano non annoia: l’aura triste, depressa, di sconfitta compensa la relativa ripetitività, e avvolge alla grande per lunghi minuti. Non fa eccezione nemmeno la coda finale, in cui il pulito malinconico si alterna con l'ossessivo growl di Lucarini: ne risulta un pezzo di sei minuti e mezzo che vola in un attimo, e risulta alla fine uno dei più belli di Away from Light!

Anche Paranoia Pitch Black comincia da una melodia semplice, tranquilla di chitarra pulita: rimane poi in scena anche quando, dopo pochi secondi, il pezzo vero e proprio entra nel vivo. Abbiamo allora una lenta evoluzione doom a cui là melodia di base dà un tocco gothic a tratti, mentre altrove resta da sola per aperture di nuovo tranquille, tristi e intimiste. Appartengono invece alla prima norma i ritornelli: leggermente più estroversi ma sempre con un gran pathos, con tante melodie, vocali e di chitarra, quasi catchy per impostazione, creano un panorama sottile, oscuro, intenso. Questa falsariga diviene più preoccupata nella fase finale, in cui la voce del frontman si alza e si fa più lontana, intrecciandosi ancora con uno scream, per qualcosa di più intenso e sognante – nel senso più oscuro del termine. È un’ottima conclusione per un’altra canzone semplice ma avvolgente al massimo, un altro dei picchi assoluti di quest’album! A questo punto, i toni si abbassano ulteriormente per Uterus Atlantis, delicata ballata con all’inizio soltanto una chitarra e i vocalizzi dolci, echeggiati di Granieri. Solo poco dopo compaiono il suono del violino di Paparella e vaghi echi post-rock, seguiti poi anche da tastiere, percussioni e altri lievi suoni qua e là: anche essi contribuiscono alla delicatezza generale. Il risultato è un breve pezzo molto calmo, melodioso, con una bella malinconia che avvolge bene: non sarà tra i migliori in Away from Light, ma nemmeno sfigura!

December Remembrance stacca dalla precedente e parte subito con potenza: ma è un’energia docile e molto melodica, che evoca più nostalgia che altro. Sembra quasi che il pezzo debba essere tutto così quando si apre una frazione post-rock calma e dolce, per quanto crepuscolare: invece, è il preludio alla successiva partenza, che fa svoltare la norma. Ci ritroviamo allora in un pezzo gothic/doom non velocissimo ma di buona potenza, con in evidenza il riffage di Lucarini, Reggi e Paparella sotto alle preoccupate e lacrimevoli melodie di chitarra. A tratti questa norma si alleggerisce: in scena allora rimangono solo i lievi fraseggi ad accompagnare la sezione ritmica e la voce del frontman. Altrove invece il tutto si accentua: Lucarini sfodera il growl, e la base diventa anche più graffiante. Tutto ciò va avanti fino a verso metà, dove il pezzo rallenta, ma abbraccia cupe ritmiche doom – per quanto la malinconia, e anche gli echi post-rock siano sempre in sottofondo. A tratti vengono fuori con maggior evidenza, per una sezione di tre quarti calma, triste in maniera calorosa e avvolgente. È il momento migliore di una frazione finale a tratti un po’ fuori fuoco, specie nella lunga e potente parte finale, con un riffage un po’ strano, obliquo e dissonante – che poi continua il suo influsso anche nella lunga coda conclusiva. È l’unico difetto di un pezzo per il resto molto buono, ma resta un peccato: fosse stato tutto come la prima parte, sarebbe stato uno dei picchi di Away from Light! Con la seguente Until My Eyes Go Blind i Rome in Monochrome lasciano da parte ogni influenza metal per un post-rock spoglio e ricercato, quasi poetico a tratti. L’arpeggio di una chitarra acustica fa da guida all’ascoltatore mentre attraversa diversi panorami: alcuni sono più densi, con il violino di Paparella e venature post-rock, altri invece sono più spogli e notturni, altrove spunta persino un vago retrogusto folk. Ogni passaggio è però ben incastrato con gli altri, in una bella progressione: pur essendo poco più di un intermezzo, si rivela godibile al punto giusto!

Sin dall’intro, che con lentezza introduce i suoi temi principali, Between the Light and Shadows sa già un po’ di già sentito. È la stessa sensazione che continua quando il pezzo entra nel vivo, con un’alternanza tra momenti più potenti, dalle suggestioni ancora una volta gothic/doom, e strofe più spoglie, che tornano all’origine. Appartengono alla prima norma i ritornelli: più densi ed energici del resto, colpiscono bene con la loro malinconia – per quanto anch’essi sembrino un po’ banali, il che li frena abbastanza. Non aiuta poi il fatto che la struttura sia un po’ ripetitiva: a parte un paio di variazioni strumentali interessanti che appaiono qua e là, il tutto fluisce così abbastanza liscio, e lascia poca traccia di sé. In realtà non è proprio malaccio come pezzo, la sua qualità è discreta: solo, in un album come Away from Light tende un po’ a sparire. Per fortuna quest’ultimo si riprende alla grande nel finale con Only the Cold, che sin dall’inizio mostra qualcosa di nuovo: il suo intro, sempre rarefatto e orientato al post-rock, stavolta è meno malinconico e più cupo, freddo. È ciò che evocano le striscianti dissonanze di chitarra, che avanzano a lungo, raggiunte a tratti dalla voce di Granieri, quasi arcigna, come unica variazione. Poi però, dopo quasi tre minuti, la musica svolta: un espanso raccordo di delicato post-metal sfocia poi in un ritornello che recupera lo spessore emotivo desolato già sentito altrove e colpisce alla grande. Merito del contrasto, che potenzia sia l’anima più cupa, sia quella più intensa del pezzo, che da qui in poi si scambiano diverse volte. Ottimo anche il gioco di variazioni impostato dai Rome in Monochrome, che tendono a cambiare più spesso del solito, con tanti passaggi tutti ben scritti e inseriti al punto giusto. Alcuni portano il pezzo su lidi anche più delicati, quasi magici – come sulla tre quarti; altrove invece la band sfodera dei bei riff, potenti al punto giusto ma senza rompere l’incantesimo oscuro evocato dal complesso. Il risultato è un brano lungo quasi dieci minuti ma mai noioso: risulta anzi addirittura tra i migliori del disco che chiude!

Nell’altra recensione, dicevo come Karma Anubis fosse un lavoro troppo corto, con le sue tre canzoni, per valutare i Rome in Monochrome: l‘impressione generale però era buona. Con Away from Light, quelle sensazioni si confermano in pieno: abbiamo un ottimo lavoro, ricercato e personale, che può fare la tua felicità, se dal doom non cerchi riff grassi e d’impatto – almeno, non solo – ma anche belle atmosfere. Se è così, ti consiglierei anche di tenere d’occhio i capitolini: se riusciranno a correggere il tiro e a evitare le ingenuità presente qui, il prossimo album potrebbe stupire anche di più!

Author: Mattia Loroni
Review
Suoni Distorti Magazine
12.02.2018

La band capitolina Rome in Monochrome ha appena firmato con l’autorevole etichetta doom / death russa Solitude Productions per la pubblicazione del suo primo full-lenght dal titolo ‘Away from Light’.

Registrato e mixato da Fabio Fraschini (Novembre, Arctic Plateau) presso il PlayRec Studio di Roma, masterizzato da Dan Swanö presso gli Unisound AB Studios ed impreziosito dalla splendida cover art di Rhett Podersoo (My Dying Bride, Stephen King), ‘Away from Light’ uscirà il prossimo 16 Marzo con le guest vocals di Carmelo Orlando dei Novembre ad impreziosire una delle otto tracce che lo compongono.

Dopo l’apprezzato EP d’esordio ‘Karma Anubis’ (2015), i Rome in Monochrome proseguono nella loro ricerca musicale fondendo doom, shoegaze, slowcore e post-rock in uno stile del tutto originale, contraddistinto in modo ancora più estremo dai toni cupi e malinconici che sempre lo hanno caratterizzato: un trionfo di rassegnazione e totale isolamento, una maschera austera che occulta l’assoluto nonsense della vita, un album fotografico saturo di paesaggi nebbiosi e di cuori abbandonati.

Author: Francesco Chiodometallico
Review
Aristocrazia
21.05.2018

Sono passati circa due anni dall'uscita del lodevole EP dei Rome In Monochrome "Karma Anubis", un periodo in cui il chitarrista Gianluca Lucarini è rimasto tutt'altro che fermo, come dimostra anche l'EP uscito nel 2017 sul versante grindcore con gli Exhume To Consume. Per quanto mi riguarda, c'era molta attesa per il disco d'esordio "Away From Light", pubblicato dalla Solitude Productions tramite BadMoodMan Music.

Una specie di Torre di Babele in costruzione (ovviamente in scala di grigi) è forse la miglior copertina possibile per "Away From Light". Si parte con l'elegantissima "Ghosts Of Us", mettendo subito in evidenza le melodie di chitarra tratteggiate da Lucarini, Reggi e Paparella, che accompagnano la voce pulita di Granieri e qualche raro (ma assolutamente funzionale) episodio di growl. Anche qui c'è un patrimonio di musica oscura carissimo a tutti gli ascoltatori dei Rome In Monochrome della prima ora, dagli Antimatter (come in "Uterus Atlantis") ai Katatonia ("Between The Dark And Shadows"), andando a sconfinare più volte in ambienti estranei al doom metal duro e puro.

Infatti, mentre nell'EP la band aveva forse rischiato un po', mettendo tantissima carne al fuoco in poco tempo, possiamo dire che gli sforzi sono stati ampiamente premiati nell'approccio all'album, in cui ogni sfaccettatura sonora del progetto romano è riuscita a trovare il giusto spazio. Spicca sicuramente la prova vocale di Valerio Granieri, che riesce a catturare la nostra attenzione per tutti gli oltre cinquanta minuti del disco, bilanciata benissimo dai notevoli interventi in cantato sporco di Lucarini (e dell'ospite Carmelo Orlando in "Paranoia Pitch Black"). I Romani hanno superato la prova del disco d'esordio con gran classe, avanzando una candidatura tutt'altro che timida a debutto dell'anno nell'ambito della musica brutta in Italia.

Rome In Monochrome è ormai molto più di un side project. Qui su Aristocrazia siamo lieti (o tristi?) di aver incrociato di nuovo la nostra strada con il sestetto dopo l'incoraggiante inizio di "Karma Anubis". L'album è stato presentato con successo a fine aprile presso l'Associazione Defrag di Roma dopo che, tra le altre cose, il gruppo aveva aperto la data romana dei fratelli Cavanagh la scorsa estate. A questo punto, non ci resta che sperare in un tour che possa portare finalmente i sei fuori dalla loro monocromatica Roma.

Author: LordPist
Review
Necromance
8/10
31.05.2018

Desde la capital italiana, Roma, nos llega el nuevo trabajo de ROME IN MONOCHROME, “Away from Light” editado a través de Solitude Productions y que ha contado con la mezcla y la producción de Fabio Fraschini (NOVEMBRE, ARTIC PLATEAU), mientras que la masterización corre a cargo de Dan Swanö. Como ellos mismos se describen su música es para corazones fríos y almas en pena, una composición doom entremezclada con el shoegaze y el post rock, donde toman referencias de ALCEST, MY DYING BRIDE, SLOWDIVE…

Desde el inicio nostálgico con “Ghosts of Us”, sabemos a qué nos atenemos, una instrumentación mágica y lenta que se desarrolla sobre melodías vocales limpias (Valerio Granieri) mientras que Gianluca Lucarini se encarga además de la guitarra principal de las voces guturales y coros; todo ello aderezado con unos matices atmosféricos dados por Marco Paparella y Alessio Reggi (guitarras), el bajo de Riccardo Ponzi y la percusión acompasada de Flavio Castagnoli. “A Solitary King”, introduce la distorsión desde el inicio y deja de un lado el doom más oscuro para dejarnos un poco de luz en un tema que acelera los tempos y se convierte en un bello pasaje repleto de una ambientación melancólica, con un gran trabajo vocal, que nos conduce a un temazo doom, “Paranoia Pitch Black” donde Carmelo Orlando de NOVEMBRE colabora con sus screamings. Un tema redondo donde la voz limpia a veces me recuerda a los primeros trabajos de ENTWINE, con un tono pegadizo y mágico que te atrapa a cada paso.

“Uterus Atlantis”, es intimista y acústica, donde la simpleza se convierte en emoción y cercanía para contemplar una noche solitaria y estrellada mientras caminas inmerso en tus pensamientos y donde Marco Paparella se encarga de las sutiles notas de violín que encontramos en ella, mientras nos lleva hacia “December Remembrance”, donde sus casi diez minutos se nos pasaran volando inmersos en una hermosa estructura instrumental y vocal que hará las delicias de tus noches veraniegas.

Tras la instrumental “Until My Eyes Go Blind”, se abre camino en hacia el final del álbum “Between the Dark and Shadows”, otro de los cortes destacados del álbum, con unas melodías que te atraparán desde el primer momento donde el rock melancólico con tintes gothic están a flor de piel. “Only the Cold”, cierra este bello álbum, y lo hace como hemos hablado, pues el trabajo es compacto, oscuro y mustio, y en el que solo se echa en falta alguna voz gutural más en determinadas partes.

Author: Juan Angel Martos
Review
The Rocktologist
15/20

Some nice mellow plucks start off opener “Ghosts Of Us” but they just go on for an age, almost two minutes before a truly melancholy vocal arrives. This is all a little bit of a dirge and whilst quite pleasant it just keeps doing the same thing for a while too long. The dry heavy riffs that eventually come are great and I really think the song is just too long, and by some way.

There’s a lot more doom in play than there is rock and whilst the moods are deep they seem to be regularly overplayed. The ideas could easily be developed more quickly, and a bit more.

They play with the ideas, some proper death growls coming into play alongside the mellow melancholy vocal, and that is a good idea, but again seems to hang around a bit too long.

Overall the tracks are interesting initially but generally just play out the same ideas for too long. I do like the repressive moods on offer but they are played for a bit too long, too often. Did I say “too long” again? Well that’s how I was left feeling.

The tracks don’t have that much variety between them either so after two full plays I was certainly ready for a lie down in a well lit room. But at the same time there is something infinitely likeable about it all.
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