Abske Fides - Abske Fides (CD)

Review
Metal.tm
7/10

ABSKE FIDES stammen aus Brasilien, was man dem Trio wohl nach Hören des selbstbetitelten Debuts kaum glauben würde. Die drei Herren (?), die allesamt unter einem Pseudonym agieren, klingen weder nach ANGRA, noch nach SEPULTURA und auch eigentlich sonst nicht richtig nach Brasilien. Eher nach Nordamerika, Frankreich oder Deutschland.
Doch was ist es, was den Hörer zu solchen Fehlannahmen verleitet?

Das Geheimnis liegt im Stil von ABSKE FIDES, für den sie bereits mit diesem Debut eine eigene kleine Nische geschaffen haben. Hier klingt nichts nach Hitze, Palmen oder Karneval. "Abske Fides" ist die musikgewordene Postmoderne, irgendwo zwischen Häuserschluchten und Identitätsverlust. Bei solchen Assoziationen denkt wohl manch einer direkt an shoegazigen Black Metal, der mittlerweile nicht nur zu Unrecht ein bisschen in Verruf geraten ist. Doch ABSKE FIDES schaffen es, sich von jedem Klischese und von der lauernden Gefahr der Belanlosigkeit zu retten und haben, wie bereits erwähnt, ihre eigene kleine Nische gegraben, oder zumindest damit angefangen. Das Geheimrezept im ABSKE FIDES Sound liegt an der richtigen Mischung. Die Brasilianer integrieren zwar auch den einen oder andere "post" schwarzmetallischen Moment in ihrer Musik, verweben diese aber perfekt mit weiteren Stilen, sodass eine stimmige, wenngleich leicht unkonventionelle Mischung dabei heraus kommt.

Die Zutaten, die ABSKE FIDES dabei verwendeten, reichen von Funeral Doom Metal über Black Metal bis hin zu ambientesken Soundgebilden. Diese Einzelteile werden geschickt zu einem neuartigen Ganzen verwoben, das zeigt, dass auch heutzutage noch neue Wege im Extrem Metal Bereich möglich sind. Zudem schaffen es ABSKE FIDES auch, dass ihre urbane Atmosphäre nicht so aufgeweicht und weinerlich daherkommt, wie zum Beispiel bei HERETOIR. Dadurch wird eine einengende, beklemmende und zugleich sehr spannende Atmosphäre erzeugt, die durch die sehr sporadischen Violin-Einsätze noch zusätzlich an Dichte gewinnt. Gleichzeitig machen ABSKE FIDES nicht den Fehler, dass sie sich in einer fixen Idee verrennen, sondern behalten zu jederzeit den Überblick über die verschiedenen Komponente von "Abske Fides".

Dass es sich hier nichtsdestotrotz um ein Debutalbum handelt, das ist trotz der großen Stilsicherheit noch zu hören. So laufen ABSKE FIDES hin und wieder Gefahr, den eigentlichen Song aus den Augen zu verlieren, was dazu führt, dass die eine oder andere Komposition ein bisschen im luftleeren Raum schweben bleibt. Zudem dürften die Herren noch ein bisschen stärker am Gesang arbeiten, der zwar nicht schlecht ist, aber noch ein bisschen wenig Akzente zu setzen weiß. Ansonsten gibt es am Debut der Brasilianer aber relativ wenig zu bemängeln, was eindeutig für diese spricht.

Author: Tizian C.

Review
Pinpoint Music
20.08.2012

Abske Fides. São Paulo Brazil. Black/Doom. Lyrical themes exposing the terror in existence and modernity. Pure post modern darkness. This came on me like a surprise. The cover for Abske Fides looks more like a film school final project than a black metal album. I think in its own way, Abske Fides’ war on civilization parallels the vague thesis of extreme metal. This self titled debut follows on the heels of nearly a decade of well received demos and EPs. From their beginning in 2004, the band has made it clear they have no use for traditions and pageantry of heavy metal. Though the music roots itself in black metal’s despondency, its focus and direction is contemporary. This is what is interesting. Black and doom metal used as a tool rather than a destination. With this genuine attitude the emotions and set against the music are visceral and real. The mixture of rasps and downtuned guitars on Abske Fides is haunting and exciting for close to an hour. I can think of few film school final projects that can say the same.

Author: Kaptain Carbon

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Lords of Metal
8.3/10

Een land dat bekend staat om zijn zonnige stranden en grootse carnavalsfeesten associeer je niet meteen met doom en dan vooral niet funeral doom. De eerste keer dat ik het Braziliaanse Abske Fides hoorde was in 2006 ten tijde van hun ´…Apart Of The World´ EP en die plaat was dusdanig zwartgallig dat ik aan Finland dacht. Maar dat was dus niet het geval.

Zes jaar en één EP, die ik gemist heb, later, laat Abkse Fides hun eerste full-length op de wereld los. Het eerste dat opvalt is dat het allemaal een stuk minder zwartgallig klinkt en dat de funeral doom met blackinvloeden zo goed als verdwenen is. Wat resteert is death/doom met het een en ander aan post metal invloeden en qua sfeer doet het me aan het Chileense Mar De Grises en de oude Process Of Guilt denken. Het is duidelijk dat Abske Fides wil doorgroeien in hun doomgeluid en zich niet wil beperken tot één vaststaand afgebakend subgenre. Op dit 51 minuten durende zes nummers tellende album lukt dat de drie heren prima. Tijdens opener ‘The Consequence Of The Other’ komen er ook nog vrouwelijke gastvocalen langs, maar die duiken nergens anders meer op. ‘Abske Fides’ is aan te raden aan een ieder die van doom houdt die zich niet beperkt. Al met al wederom ene prima uitgave van het Russische Solitude Productions.

Author: Marcel H.

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Metallized
6.5/10

Insolita uscita da parte di una band che proviene dal sole brasileiro; ma gli Abske Fides disdegnano con piacere la luce e celebrano la notte e le sue ombre con questo primo album edito dalla russa Solitude Production, label specializzata in extreme doom e generi affini.

Già dall'iniziale The Consequence of the Other la band sferra le sue carte migliori: ritmiche lente ma varie, melodie maligne, voce tipicamente black metal alternata a una timbrica pulita (ahimè poco convincente quest'ultima, come nella riflessiva The Coldness of Progress), e grovigli chitarristici black/doom che mi hanno rimandato pesantemente agli Ahab. Non stiamo certo parlando di brani memorabili, ma i nostri se la cavano degnamente, andando a scavare nel fondo delle proprie emozioni più estreme e sporche, rivoltando il proprio malessere su di una musica genuina, scritta con l'istinto e con il cuore.
La parte finale del disco è indubbiamente la più interessante: Aesthetic Hallucination of Reality è ricca di groove, pachidermica e discretamente efficace grazie alla sua panoramica asettica e il suo minutaggio che va a lambire i dieci minuti di durata, ma senza per questo stancare. In 4.48 le melodie si intensificano, andando a creare un flusso di struggente malinconia, enfatizzato anche dai silenzi che fanno tirare il fiato solcando linee chitarristiche scarne ma incisive. Ancora poco convincenti le parti pulite, comunque poco utilizzate e mai poste in primo piano.

Da sottolineare il pezzo conclusivo, Embroided in Reflection, che esce fuori dal coro con il suo post rock schivo e freddo (il pezzo migliore per chi scrive). Che sia il primo vero indizio per un futura evoluzione? Chissà, è presto per dirlo, ma se vorranno uscire dalla massa ed elevarsi dal rango di band comune, i nostri dovranno rimboccarsi le maniche e tirar fuori dal cilindro qualcosa di ben più consistente di questo discreto debutto.

Author: Emiliano Sammarco "Witchcraft"

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The Pit of the Damned
7/10
27.09.2012

Devo ammettere di essermi avvicinato con una certa titubanza a questo lavoro, in quanto le ultime uscite in casa Solitude, non mi avevano granché convinto, a causa di un eccessivo crescere di un movimento, quello doom, che se continuerà ad essere sfruttato in modo cosi massiccio, rischierà di veder ben presto la sua fine. Tuttavia, il debut album di questi brasiliani dal nome astruso, non fa che impressionarmi positivamente e vederli affiancare ai connazionali Helllight, come compagni di etichetta. Qui, non siamo di fronte ad una proposta tipicamente funeral doom, ma la musica del combo di San Paolo, colpisce piuttosto per la sua componente avanguardistica, che ben si fonde con quella death doom. Quel che è certo è, che anche qui si viaggia su durate piuttosto lunghe dei brani, con “The Consequence of the Other” che risulta essere una song ostica, difficile da delineare al primo ascolto, perché pur viaggiando su coordinate stilisticamente vicine al doom, trova il modo di impreziosire la propria proposte con inserimenti estemporanei di female vocals. La seconda “Won’t You Come?” si fa ricordare per un riffing di chitarra ipnotico e melodico, che immediatamente si stampa nel cervello e per uno splendido break centrale, dal vago sapore post rock (ottimo il pseudo assolo e l’intera componente ambient), mentre le vocals si alternano tra un cantato da cavernicolo ed uno più pulito. Ho alzato pertanto le mie antenne, capendo che il debut album degli Abske Fides, non è qualcosa che suona in modo scontato, ma piuttosto, va ascoltato con crescente attenzione, perché i particolari che si possono captare, risultano davvero azzeccati e notevoli da un punto di vista di godibilità del prodotto. Ecco non voglio sembrare uno da televendita, ma mi sembra di scorgere nel sound dei nostri paulisti, un tocco di originalità, che fin qui era venuta a mancare nelle uscite della label russa. Non tutto fila per il verso giusto, in quanto affiorano momenti di stanca, che si potevano sicuramente evitare o per lo meno, non tirare cosi tanto per le lunghe e penso all’infinito inizio onirico/visionario di “Coldness”, ma cavolo, non appena parte una chitarra seventies, di scuola pink floydiana, non posso che sobbalzare sulla mia sedia e porgere ancor più attentamente il mio orecchio, e sentire quelle meravigliose plettrate sulle corde della chitarra che mi fanno godere non poco. Poi le vocals si mostrano magari un po’ deboli, ma poco importa se il feeling che respiro è di quelli da dischi acustici dei favolosi anni ’70. E 70 sarà anche il mio voto finale, come forma di incitamento per il terzetto sud americano a continuare su questa tecnica, affinando di sicuro la tecnica, per quello che potrebbe rischiare di diventare un sensazionale lavoro finale. Gli undici minuti e passa di “Aesthetic Hallucination of Reality” sono belli lunghi, un po’ grezzi e rappresenta alla perfezione quello su cui i nostri dovrebbero lavorare maggiormente per non rischiare di dilungarsi troppo nelle loro elucubrazioni mentali. Menzione conclusiva per l’ultima traccia, “Embroided in Reflections” che palesa invece le influenze più spiccatamente post della band, con un sound notturno. Ve lo dico io ragazzi, non siete una band doom, potete essere tranquillamente qualcosa di più, pertanto non vi nascondete dietro un riff trito e ritrito per farvi apprezzare dalle masse di doomsters, basti ricordare gli esordi degli Anathema e di quell’”Eternity” che li ha portati oggi ad essere quello che sono. L’esperienza insegna e se il nostro bel trio proveniente dal Brasile, sarà bravo a giocarsi le proprie carte, sono certo che potremo sentir parlare di loro molto presto… Audaci ma ancora un po’ troppo timidi

Author: Francesco Scarci