Inborn Suffering - Regression To Nothingness (CD)

melodic death doom metal, Solitude Productions, Solitude Productions
533.33 Р
CD
Price in points: 800 points
SP. 062-12 xn
Out of stock
The second long awaitedalbum from the French doom death metal masters Inborn Suffering! Aftersuccessful album in 2006 which got many positive reviews from the critics andlisteners, the band fell silent for a long time in order to return with a newalbum raising Inborn Suffering to a higher level. The new album contains 72minutes of atmospheric and melodic doom death metal in its best traditions. Themajestic, full of despair and gloom, music is able to become a discovery forall fans of the genre. Plunge into the world of despair and emptiness and openyour heart to “Regression To Nothingness”. The powerful sound of the album willgive particular pleasure to music lovers. Recorded and mixed by AndrewGuillotin (Glorior Belli, Fractal Gates, Temple Of Baal) and mastered by JensBorgen (Paradise Lost, Opeth, Katatonia, Draconian). Featuring limited digipaсkedition with 12-page booklet.

Tracklist:
1 Slumber Asylum 11:17
2 Born Guilty 12:51
3 Grey Eden 13:15
4 Apotheosis 8:09
5 Another World 6:01
6 Regression To Nothingness 11:20
7 Self Contempt Kings 9:31

Artist:
Inborn Suffering
Artist Country:
France
Album Year:
2012
Title:
Regression To Nothingness
Genre:
melodic death doom metal
Format:
CD
Type:
CD Album
Package:
Jewel Case
Label:
Solitude Productions
Cat Num:
SP. 062-12
Release Year:
2012
Country Of Manufacture:
Russia
Review
Aristocrazia Webzine
09.12.2012

Come vi avevo preannunciato nel testo della recensione di "Wordless Hope" debutto di questi francesi ristampato quest'anno, il 2012 ci ha consegnato anche il secondo capitolo discografico a distanza di sei anni dall'uscita originale del debutto, il titolo del nuovo lavoro è "Regression To Nothingness".
Cos'è cambiato? Iniziamo dalla line-up, il posto di cantante e secondo chitarrista stavolta è coperto da una sola figura quella di Laurent Chaulet dei Morning Dawn che sostituisce quelle passate di Gwadsec'hedik Kraban e Frédéric Simon mentre al basso non c'è più Emmanuel Ribeiro bensì Philoxera artista che abbiamo incrociato in qualità di mastermind del progetto black Profundae Libidines con il primo album "Evangelium Secundum Mattheum" recensito proprio dal sottoscritto e ancora? Le influenze proveniente dalla terra d'Albione sono ancora presenti le tracce di My Dying Bride e primissimi Anathema sono inconfondibili, a questi però si uniscono due formazioni più recenti e che in un certo senso a quell'onda doom si rifanno, gli irlandesi Mourning Beloveth e i finnici Swallow The Sun, quindi il tiro non è si è del tutto modificato ma ha assunto adesso una forma più moderna e un aspetto tendente al progressivo che sembra non voler mai risultare assente ingiustificato in quest'ultimi anni.
Un piccolo e percettibile passo in avanti è stato compiuto, il platter ha un unico grosso difetto, lo tiro fuori subito perché dopo saranno solo pregi a venir decantati, è la durata, quasi un'ora e un quarto è troppo quando hai due pezzi in fase pre-conclusiva che lasciano adito a qualche perplessità, sia "Another World" che "Regression To Nothingness" sembrano infatti tentennare rispetto alle colleghe, la composizione è meno fluida seppur la prima sia la traccia più corta inserita in tracklist.
Tolto questo che rimane? Un lotto di brani che sfavilla, un quartetto di canzoni in apertura che farebbe gioire o meglio dire renderebbe immensamente desiderabile il grigiore da loro emanato a ogni amante del doom, "Slumber Asylum" e "Born Guilty" possiedono un impianto atmosferico fantastico, quella concentrazione di melancolia, arte e beltà sono racchiuse in una bolla temporale che la rende infinite, lontane dall'appassire e deteriorare causate dal trascorrere incessabile dei giorni e degli anni, sensazione che diviene certezza con i capitoli a seguire, "Grey Eden" e "Apotheosis", soprattutto quest'ultima, disegnano un panorama immaginario fatto di melodie e rimembranze del doom che aveva familiarità con l'area death, questo aspetto ancor più evidente nella già nominata "Another world" meno liqueforme e più incline a uno schema che esalti il lato roccioso del combo, che incantano e contemporaneamente innescano un processo che induce all'oblio con tanta dolcezza quanto coscienza di finire all'interno di una dimenticanza che si è cercata.
Mai prima d'ora i francesi avevano composto o si erano avvicinati a comporre episodi pregni di una tale densità emotiva e giunti a "Self Contempt Kings" dilaniati ed estasiati da un'aura che raggiunge picchi di depressivo stranamente sin troppo dolciastri per abbattere, quasi consolatori nel loro progredire, non vi nego che la voglia di rimetterlo immediatamente su ancora una volta è stata istantanea.
Il pregevole lavoro d'ornamento melodico di Stéphane Peudupin (Fractal Gates ed ex Laethin Dreams), l'utilizzo calibrato dei synth da parte di Sebastien Pierre, compagno di Stéphane anche nelle altre due band citate, entrano ed escono di scena come se volessero affettare le canzoni, come se volessero affondarvi dentro, la sezione ritmica di Philoxera e Thomas Rugolino (Funeralium ed ex Mourning Dawn) rispetto a quella che reggeva l'incedere di "Wordless Hope" possiede una consistenza e proprio il batterista ha una marcia in più, il suo drumming è maggiormente "cattivo" quando è necessario e ha acquisito una dinamica più ampia, il quadro vede nel growl e nei momenti appena accennati di parlato di Laurent la pennellata che gli rende definitivamente giustizia.
Gli Inborn Suffering sembrano un'altra band, il prendersi tempo uscendo sulla lunga distanza pare proprio aver dato quella spinta e quella sostanza che permettesse ai transalpini di attuare uno scatto in avanti, scatto che è avvenuto, "Regression To Nothingness" n'è la conferma e la produzione a cura di Andrew Guillotin presso gli Hybreed Studio con il master affidato poi alle sapienti mani di Jens Bogren sono la più classica delle ciliegine sulla torta.
Ci toccherà attendere altri sei anni per ascoltare un terzo capitolo? Potremo gridare al capolavoro? Purtroppo no, la formazione è splittata, sarà comunque difficile dimenticare gli Inborn Suffering e dovesse succedere incrociando le note di questo disco sono sicuro che l'acquolina in bocca ce li ricondurrà alla mente. Inutile dirvi che "Regression To Nothingness" è da acquistare e consumare ripetutamente.

Author: Mourning
Review
Hellz Zine
5/5

Шесть лет царила тишина над полем Бородинским… И вот, наконец, французские пушки вновь дали мощный залп… прямо из колонок! Снова стена плотного звука, снова плач скрипок и лязг железа, снова крик, вырывающийся прямиком из глубины души. Все это InbornSuffering – французская doom/deathmetal формация, мгновенная попавшая в число моих фаворитов. Последний раз со мной такое было в конце 90-х после знакомства с творчеством греков SepticFlesh – чтобы сразу раз! – и гонять диск по кругу целыми днями. Правда, обложка опять вызывает недоумение (что это?) – ну да ладно, они думстеры, им можно. Новый альбом содержит те же вкусности, что и дебютный диск «WordlessHope», это все тот же медленный, но образный и энергичный музон в лучших традициях жанра. InbornSuffering остались верны выбранному направлению, и, даже внеся определенные новшества, добавив разнообразия (особенно это касается вокалов), остались сами собой. Единственное, чего не хватает лично мне – вот спели бы эти ребята хотя бы некоторые свои вещи по-французски – мне кажется, было бы намного интереснее.

Author: Emerald
Review
Forbidden Magazine
23.09.2012

This Russian Label (Solitude Productions) just turned 7 and is not only reliable and a major force in extreme doom and melodic dark metal, but consistently finds the best and the more progressive acts in these styles ranging from the Slavic regions all the way to Brazil and everywhere in between. Inborn Suffering is no exception to that statement as this French band has been around and established for a number of years now and with this recent release they definitely raise the bar for aggressive and melodic metal acts to follow.
With all of the genre/style names out there it’s become a clusterfuck to describe bands like Inborn Suffering so for sake of respect and reality I’m going to avoid doing so. The vocals are distinctly death metal, abysmal and throaty, and also heavily burdened with emotional distress, but the sound is more angry than depressive and even the clean vocal passages are more poetic and narrative then weepy and suicidal. With song titles such as “Born Guilty”, “Self Contempt Kings”, and the title track “Regression to Nothingness” along with the promoted description of being Doom Death one instantly gets the idea that it’s a self loathing gothic saga full of long drawn out chords and droning drowning misery with little tempo and basically exhausting. Nothing could be farther from the truth though.

Much of this album is a cranking machine of dark insanity, revenge, and bitterness. To tell the truth, I first listened to this one while reading criminology case files on serial killers and the release actually seemed appropriate to the reading. The atmosphere throughout the album is HEAVY, like the burden of guilt and internal struggle between vindication and need for mental and emotional freedom. The opener “Slumber Asylum” really starts this album off strong with an obliterating density in sound and feeling as they shuffle between full force rhythmic trampling and melodic breaths of space and reason. Other knockout songs like “Born Guilty” continue to instantaneously come in swinging with a brutal tempo like a couple of good slugs to the jaw and continues the iron fisted flogging for a grizzly 11 minutes of bi-polar and pseudo psychotic mood swings. One moment you’re cold cocked with bass toned death metal riffing, the next you’re bleeding out to a morbid melodic/epic doom serenade rejoicing your demise with vocals of lunatic howling over you, then you’re last miserable moments are celebrating with a few esoteric lead guitar shreds and an epic continuation of this bestial rant. This pattern repeats throughout the song keeping you both interested and actually involved throughout the progression.

“Born Guilty” makes me think of a guilty murderous conscience, someone who’s struggling within themselves between the “moral idiot” staring at the hanging body they just squeezed the life out of and their human regret still slightly present screaming from within their subconscious. The siren-like lead guitar melody that wails from within the mix just adds that extra detail necessary to push the aspect of lonely misery and emotional struggle within oneself.

“Grey Eden” plays out like the aftermath of the bloodbath. The morose, almost gothic/funereal spoken word intro that reeks of spilled blood and regret that suddenly drops into a deep abyss of hatred and denial with a flood of melodic but destructive melodies and rhythmic assaults such as the last drop of blood wringed out through “Born Guilty”.

“Apotheosis” is yet another song on here that combines the confusion of morals and nature with the siren guitar leads which literally slits both the throat and wrist, they’re just that sharp and distinct, but a more philosophical and epic, while “Another World” brings back the sadistic mania and blunt force attack to the senses as were experienced firstly through “Slumber Asylum” and “Born Guilty”.

When I received Regression to Nothingness a few days back I honestly had no expectations. I had a nasty case of digestive issues the entire day and a throbbing headache so all I did was read fucked up details of real human perversity and cruelty and gave this one a spin between bathroom trips The next thing I know, I’m sucked into this things gravitational field and suddenly things just came together without rhyme or reason between myself, and this album.

In a genre that is traditionally a special taste for many and known for that as well as it’s overall sound that has a tendency to dominate and smother the variability underneath its cloak of dread, it’s a hell of an achievement to get me hooked like this one did. I haven’t been this strung out on an album from this metal realm since Helllight’s …And then the Light of Consciousness Became Hell. Seriously, if you feel that funeral doom/death doom is a mundane and suffocating genre that leaves you bored or weighed down struggling for breath then Inborn Suffering are a must hear because they blast all that other shit open like a bad case of Typhoid fever does for the stomach juices. Just imagine a blend of classic Amorphis, old Paradise Lost, and Evoken and that’ll be closer to Inborn Suffering than a blanket description.

Author: Janet Willis
Review
Darkview
8/10
22.08.2012

Dat er in Frankrijk degelijke doom gebrouwen wordt, hebben Ataraxie en Lethian Dreams bijvoorbeeld ons al ruimschoots bewezen, maar gelukkig staan ze niet alleen.

Wellicht iets minder bekend is Inborn Suffering dat na een klein decennium stilte haar tweede album klaar heeft. Om nog eens in de verf te zetten hoe klein het doemwereldje eigenlijk wel is, vinden we hier een samenraapsel van ex-leden van Funeralium, Mourning Dawn en het eerder vernoemde Lethian Dreams. Aangezien de leden stilistisch uit hetzelfde stevige deathdoomvaatje tappen, zijn de vergelijkingen met Ataraxie niet uit de lucht gegrepen, Vooral het album ‘Anhédonie’ komt spontaan bij me op. Hoewel het sporadisch opduikende ijle, gitaargeluid net zo goed uit Dolorian’s pen had kunnen vloeien en de melodischere stukjes kunnen wedijveren met de eerste schrijfsels van Swallow the Sun. Luistertip: het magistrale sluitstuk “Self Contempt Kings”.

Author: Samoht
Review
Pavillon
8/10
28.07.2012

Après six ans d’un assourdissant mutisme et d’une maturation digne d’une cellule sénescente, INBORN SUFFERING reparaît sur le devant de la scène doom mélodique et atmosphérique avec « Regression to Nothingness ». Et s’il fallut du temps pour que soit enfanté, à terme, la suite de « Wordless Hope » (2006), le quintette francilien mit un point d’honneur à corriger les quelques défauts et facilités qui parsemaient encore leur travail princeps… pour présenter ici une musique particulièrement aboutie, bien que sans doute encore très marquée par ses diverses influences.

Ainsi, avec ces six ans de gestation et le renfort de Laurent Chaulet (MOURNING DAWN) à la guitare et aux vokills, INBORN SUFFERING s’affirme comme une des figures de proue, sur notre territoire, d’un style encore fort peu développé. Suite logique de « Wordless Hope », gommant les erreurs d’exécution (en particulier la batterie de Thomas Rugolino, beaucoup mieux incluse dans le mix, et beaucoup plus juste techniquement et rythmiquement), « Regression to nothingness » est un condensé de ce qui se fait de mieux dans la scène melodic-doom/death, traversant avec aisance des univers auparavant tracés par des formations telles que MY DYING BRIDE, mais surtout SWALLOW THE SUN et MOURNING BELOVETH.

En grossissant le trait, disons que le doom-death de « Regression to nothingness » constitue une version plus véloce des influences susnommées, travaillant au corps des éléments death old-school qui ne manqueront pas de faire remuer les rachis les plus cervicarthrosiques (cf. les riffs initiaux de « Born Guilty » et de « Another world »), et mettant en exergue un art du contraste certain…
En effet, les mélodies lancinantes et longuement développées par la session rythmique et les leads de Stéphane Peudupin, sont exploitées sans trop verser dans une complainte indigeste et, à rythme soutenu quoiqu’aéré (entre le down et le mid-tempo, pour l’essentiel…)… Elles esquissent des thématiques atmosphériques éthérées, appuyées par un usage parcimonieux, par nappes, du synthétiseur (« Slumber Asylum », « Grey Eden » ou encore « Apotheosis », le véritable climax de l’album… avec son feeling très proche de MOURNING BELOVETH) toujours exécuté par Sébastien Pierre…
L’ensemble se trouve par ailleurs ponctué, le long de ce périple entropique, par les attaques paroxystiques typées death old school ou par des hurlements, vociférations et spoken words, beaucoup plus convaincants et froids que dans « Wordless Hope ».

Il s’agit donc d’une mosaïque, d’une rhapsodie mélancolique composée par de fins connaisseurs de leur style, agrémentée de titres assez longs faisant ronronner avec dextérité riffs et nuances multiples (en témoignent les balancements, oscillations, et l’évolution progressive du titre éponyme dont les lignes harmoniques évoquent les récentes sorties de SHAPE OF DESPAIR). Cet album est ainsi un hommage manifeste, sans être une copie ; hommage aux scènes britannique et nordique, hommage à la scène hexagonale puisque l’on retrouve, au détour de break ou d’intelligentes accalmies, quelques clins d’œil: l’arpège quasi central de « Born Guilty » faisant étrangement écho à celui du titre « Slow transcending agony » d’ATARAXIE.


En définitive, INBORN SUFFERING poursuit sa maturation, sa progression, démontrant à qui en doutait leur maîtrise d’un genre relativement quadrillé et récité avec aisance par les grosses écuries localisées au nord de notre chère France…

Alors certes « Regression to nothingness » articule des influences encore très présentes et définies, certes la construction de l’album posera quelques questions (notamment quant à la position d’ « Apotheosis », lequel aurait sans doute mérité d’être un point final, et non pas un point virgule)… mais l’exécution sans faille, l’expressivité des compositions et la production massive qui met en valeur chaque instrument (mention spéciale à Andrew Guillotin au mix), rachèteront sans aucun doute ces petites imperfections.

Author: Nebelgesang
Review
Femforgacs
8/10
07.10.2012

Minőségi, mégis szinte minden hangjában ismerős zenével rukkolt elő debütáló lemezén 2006-ban az Inborn Suffering. A francia death/doom zenekar 6 évet várt a folytatással (Worldless Hope, 2006), közben túlestek egy énekesváltáson is, ami egyébként szinte észrevehetetlen az eredményt illetően. A zene továbbra is sötét doom metal, de talán kissé változatosabban előadva, mint korábban. Nagy újításokra most sem számíthatunk, de a dalszerkezetek érdekesebbé váltak, a hangszerek is nagyobb teret kaptak. Nem lett egyszerű hallgatnivaló, a teljes anyag 72 perc, de aki befizet erre az utazásra, nem fog csalódni benne. Egy rajongó csillogó szemmel nézheti a játékidőt, főleg ha valakinek mindene a stílus, másoknak viszont az örökkévalóság is lehet. A dalok ismét lassan cammognak a zenekar kreálta szakadék mélye felé, ahonnan nem biztos, hogy van kiút, a hangzás kiváló, a hangulat pedig megteremtetett, ahogy az meg van írva. A basszus témák nem túl kreatívak, de a műfaj ezt nem is követeli túlzottan, de azért lehetett volna dobni rajta egy-két ötlettel. Az első hangtól kezdve tudni fogjuk, mi vár ránk a folytatásban, igazi hangulatzene ez is. Jelenleg például épp imádom a lemezt, miután végighallgattam a hangpróbás új Serj Tankian albumot...őszinteségben és hangulatban a kontraszt miatt rögtön 10 pontosnak tűnne.

De maradjunk a realitásnál, hiába remek album, még mindig sok a klisé, a már korábban hallott, átélt érzések térnek vissza, amit egykor a műfaj klasszikusai idéztek meg. A hét dal az Another World kivételével 10 perc fölé nyúlik és az efféle hipnotikus csoszogás bizony a legtöbb hallgatónak gyorsan megüli a gyomrát, hiába az ötletes gitártémák és a húzós riffek. Nagy hangsúly került továbbá a kísérő szinti szőnyegre is, ami sokat tesz a borongós hangulathoz, de gyakran tompítja, életlenné teszi a zsíros gitártémákat. Énekhangban továbbra is a death metal a vezető, ahogy kell, a hangok sokkal inkább válságosak és dühösek, mintsem depressziósak, a tiszta ének epikus, költői hangvitellel bír, a narrációs részeket pedig a kétségbeesés és az erős érzelmi töltetek hatják át.

A nyitó Slumber Asylumban már megkapjuk az egész lemezre való sűrűséget és érzelmi túlfűtöttséget, ahol egymást hullámzó tempóban váltják a súlyos riffek és a már-már epikus hangvételű tiszta dallamok. A kezdés szinte könnyednek tűnik a folytatáshoz képest, a 11 perces Born Guilty szövegében a belső, morális vívódásokat járja körül, de ugyanezt sikerrel átülteti a zenére is. Egyébként nemcsak ebben a dalban találkozhatunk belső vívódásokkal, a legtöbb szövegre ez jellemző. Már maga a cím is egy érdekes pszichológiai paradoxont rejt magában, ugyanis a regresszió általában egy olyan védekezési mechanizmus a bennünket érő stressz és megoldhatatlan érzelmi problémákra, mely folyamán a tudatunk egy általunk elképzelt boldogabb múltba vonul vissza, de itt nincs hova visszavonulni. Opeth-re emlékeztető tempóval nyit a dal, majd lassan elsüllyed a narrációs, akusztikusabb témázgatásokban, ahol a meg-meg dörrenő erősebb gitárhangzás erősebben csap képen, mint korábban bármikor. A háttérben sikoly szerű gitárszóló foszlányok is bontogatni kezdik megtépázott szárnyaikat, a hörgés pedig helyére teszi a dolgokat, kész felüdülés volt a hangpróbás album után... A következő szörnyeteg a Grey Eden, ami rövid intróval kezdődik, ismét kapunk egy kevés narratív szövegelést, de hamarosan felváltja a fájdalomból táplálkozó dühös hörgés. A dal funeral lassúsággal nyit, a szinti pedig összemossa a hangokat, minden biztos kapaszkodót kihúzva a lábunk alól. A dal közepétől ugyan átváltanak némi középtempóra, de ezzel is inkább a kétségbeesést és dühöt fokozzák, mintsem egy kis napfényt engednének ebbe a sötét gödörbe. A 13 perces Aphoteosis az abszolút favoritom a lemezen, éles és határozott dal, sokkal epikusabb hangvételű, de persze itt sem kell számítanunk sok tiszta énekre. A dal nagy részében a visszhangzó narráció és a hörgés a meghatározó. Végtelenül lassú, a besűrűsödött masszát, akár az állóvizet egy-egy sziréna szerű gitárhúr tépés képes megzavarni. Finom dolgok bújnak meg itt és olyan érzékenyéggel adják elő magukat a srácok, amiért szeretni lehet ezt a műfajt.

Az Another World követi a legrövidebb dalként, tempójában és hangulatában visszatér a nyitó tételekhez, azonban ez az a szerzemény, ahol már megrögzött doom rajongóként is azt kell mondjam, unalmassá vált a dolog. Hatodik dalként szólal meg a címadó tétel, ami kissé visszaadta a lelkesedésemet a hallgatott zene iránt, mert valami hihetetlen mélységekbe képes taszítani. A gyakran kristálytiszta gitárok, a funeral lassulások és kétségbeesett üvöltések odateszik az Aphoteosis mellé, mint a lemezről legtöbbször meghallgatott dalt. A gitár megszólal ugyan keményen is, de sokkal inkább nyugtató az egész, mint bólogatásra ingerlő. Időt és teret enged annak, hogy magadba nézz, átéld minden percét. A dal bőven odatehető a műfaj nagyjainak munkáihoz. A záró Self Contempt Kings erőteljesebben indít, jó hallani az energiákat, amik a dalban felszabadulnak. Megnyugvást nem hoz a dal, de inkább a beletörődést, az elfogadást juttatta eszembe. A végtelen lassú, zongorás rész a dal közepétől pedig egyszerűen zseniális.
A korai Katatonia, Paradise Lost, My Dying Bride szerelmeseinek, a Swallow The Sun és a Daylight Dies fanoknak kötelező darab, hangulatzenék kedvelőinek pedig erősen ajánlott.

Author: boymester
Review
Iye Zine
8/10
25.07.2012

I parigini Inborm Suffering si presentano all’appuntamento con il secondo full-length a distanza di sei anni dal promettente “Wordless Hope”; la band di ragazzi di belle speranze, che mostrava sprazzi di qualità in un contesto death-doom fatto ancora di qualche ingenuità e una cifra stilistica personale da trovare, è maturata definitivamente ripresentandosi sulla scena con un lavoro splendido come questo “Regression To Nothingness”.

La dote principale dei transalpini è la capacità di evocare sensazioni morbosamente decadenti grazie a una notevole perizia tecnica e alla carica interpretativa del vocalist Laurent, il quale, tra growl, parti recitate e urla strazianti riesce a trasmettere alla perfezione il senso di angoscia che pervade ogni brano di quest’album.
L’unico appunto che si può fare agli Inborn Suffering è quello d’aver prodotto un disco dalla durata forse eccessiva; infatti, sia “Another World” che la title-track sono episodi buoni ma non all’altezza dei precedenti, mentre “Self Contempt Kings” chiude comunque alla grande l’album riportandolo alle vette qualitative alle quali avevamo fatto l’orecchio nella sua prima parte.
“Slumber Asylum” inaugura l’abum, facendo presagire il crescendo che caratterizzerà il poker di brani iniziali di “Regression …“, passando per la splendida “Born Guilty” per arrivare alle maestose “Grey Eden” e “Apotheosis” (mai titolo fu più azzeccato), tracce nelle quali la chitarra disegna melodie di rara ispirazione e la band raggiunge le proprie vette compositive.
Il gruppo francese, tra gli altri pregi, possiede la capacità di attingere, come è normale che sia, ai grandi del passato senza assomigliare a qualcuno in particolare; se l’influenza che si nota maggiormente è forse quella dei Swallow The Sun, ciò resta comunque circoscritto più all’attitudine melodica che non allo sviluppo vero e proprio delle composizioni.
“Regression To Nothingness" è l’ennesimo bersaglio centrato dalla Solitude nonché l’ulteriore regalo di questo 20102 agli estimatori di un genere, magari snobbato, ma capace di produrre in maniera continua realtà di valore assoluto come gli Inborn Suffering.

Author: Stefano Cavanna
Review
Kaosguards

Pour leur seconde oeuvre, les Français de INBORN SUFFERING ont trouvé asile sur le label russe Solitude Productions, c’est dire si notre Hexagone est accueillant !

Passons... En sept titres, la formation déroule un Doom Death d’école, d’un classicisme imparable, parfaitement maîtrisé. On trouve bien évidemment les riffs et les rythmiques pesantes (très bonne performance du batteur au jeu mobile et varié, c’est suffisamment rare pour être souligné), le chant mi caverneux mi écorché (avec quelques excursions dans un registre plus clair mais pas moins lugubre), le tempo général lent, les claviers qui confèrent mélodicité et mélancolie.

Car INBORN SUFFERING combine un véritable souci de composition et de clarté, y compris dans la production, puissante et permettant de distinguer chaque élément. Alors bien sûr, « Regression To Nothingness » ne peut pas prétendre révolutionner le genre, ni dépasser les préceptes établis par les Grands Anciens. Mais après tout ce n’est sûrement pas son objectif. Plutôt que de tenter une aventure à la réussite très hypothétique, INBORN SUFFERING construit sa personnalité dans le respect d’un héritage et cultive l’excellence dans ce cadre.

Avec à la clé un album recommandable pour les amateurs du genre.

Author: Alain Lavanne
Review
Brutalism
3/5
04.10.2012

Starting out with a massive UK death doom influence from the early 1990’s, this French band speak in heavy tongues which is remarkable considering this is only their second full length album in their ten year existence. When I speak of early death doom, I speak of the Yorkshire (UK) trio when they were doing the heavy business, rather than the ambience currently…Paradise Lost, Anathema and My Dying Bride to be precise. In other words, the tranquillity is equally matched with bouts of booming guitar pieces. Inborn Suffering are not afraid to go into this tranquil arena with ‘Slumber Asylum’ perfectly encapsulating and summarising the album on the single opening track. At some points on the album the music is really painfully slow and depressing, the dreamy world of their music is actually more fitting with their clean vocals to that of the death/doom grunt. Some of these songs are rather long, ‘Grey Eden’ is over twelve minutes long, and for this period, you do endure some classy pieces of music, but in general it’s a little too far along the downtrodden, wet and miserable path. The faster tempos of this particular track have the same qualities as recent Primordial output I tend to find, it has a certain level of “epic” and such rises the track from its humble miserable beginnings to complete its life span with some mesmerising sequences of eventual fulfilment. The title track continues the same formula, acoustic intro, doomy death guitars, overlaid keyboards, gruff death vocals and slow tempos. Whilst as good as each individual track sounds, I don’t find much enjoyment over a full album of over 72 minutes, it basically makes me miserable!

I find this album average at best but with glimmers of hope when subjected to some brief heavy madness mixed from time to time with dreamy soul searching ambience, I simply prefer one or the other, not a hybrid of both. This is an album for true lovers of the genre, this is slow business, very slow in fact, but musically Inborn Suffering put together some commendable arrangements hence why its rated so, even though it is an album I myself can live without.

Author: Paul Maddison
Review
The Pit of the Damned
7/10
01.10.2012

Dopo un paio di giri a vuoto, la Solitude Productions pare aver raddrizzato il tiro ed essere tornata sulla dritta via, grazie alla performance di questi francesi Inborn Suffering, che escono per l’etichetta russa, anche con la riedizione del loro album di debutto, che verrà recensito sempre su queste stesse pagine. Fatto sta che quella della band parigina è la classica uscita che preannuncia la caduta delle foglie, l’arrivo delle nebbie e delle mattinate gelide, in cui il ghiaccio va a depositarsi sull’erba, si insomma l’arrivo dell’autunno. “Regression to Nothingness” è pertanto la più azzeccata delle uscite autunnali, dedite all’ormai imprescindibile marchio di fabbrica della Solitude: death doom atmosferico, che guarda ai soliti Draconian e Swallow the Sun, come principale fonte ispiratrice, senza tralasciare comunque i fondamentali insegnamenti, in fatto di passaggi di tristezza infinita nei Katatonia di “Brave Murder Day” o nell’uso delle vocals meditative, negli Anathema di “Eternity”. Si, insomma, di recensioni di questo tipo, ne avrete letto a bizzeffe nelle pagine del Pozzo, eppure qualcosa di vagamente originale, lo si riesce a percepire nel lungo, quasi estenuante, secondo lavoro degli Imborn Suffering. Già dall’iniziale “Slumber Asylum” c’è qualcosa di pungente nel sound del quintetto di Parigi, pungente quasi quanto il vento d’inverno che soffia tagliente sul viso. Non saprei identificare cosa, forse il suono delle tastiere quanto mai egregio, che in sottofondo fanno un massiccio ed ispirato lavoro oscuro (come l’angosciante suono portatore di morte in “Born Guilty”), o probabilmente la voce di Laurent Chaulet, a cui piace alternarsi tra il growling e il pulito, senza tralasciare le chitarre mai troppo furiose, con le ritmiche assolutamente compassate, se non in taluni sprazzi, in cui i nostri si concedono scorribande tipicamente death; ma ci sta dopo tutto, questi sono gli ingredienti tipici del genere, che fa dei quantitativi esagerati di malinconia, il proprio punto di forza, ben coniugati con rallentamenti enigmatici, dirompenti squarci acustici, con tonnellate di melodia ben distribuite lungo tutti e 72 i minuti di questo attraente “Regression to Nothingness” (con una ragguardevole media di 10 minuti per brano). Insomma, ci voleva una release di questo tipo per farmi iniziare alla grande quest’autunno, che si preannuncia assai infuocato. Bravi Inborn Suffering, anche nella scelta della cover cd e del logo, che devo ammettere avermi abbastanza depistato, spingendomi a pensare a qualcosa di più estremo su sentieri death. Per concludere, vale anche per i nostri la solita raccomandazione espressa per tutte le altre band, facenti parte della nuova ondata di death/doom: se solo si osasse maggiormente per prendere le distanze dai ben più famosi originali, il risultato finale sarebbe decisamente di tutt’altro spessore ed interesse. Per ora mi accontento, ma la prossima volta, non garantisco di essere cosi indulgente…

Author: Francesco Scarci
Write a review