When Nothing Remains - As All Torn Asunder (CD)

Review
Wings of Destruction
3/5

Глядя на коврик этой работы шведской делегации, я украдкой надеялся на развитие Кингдаймондовской линии, обложка то ни дать ни взять - очередная сцена из повествования о малышке Abigail! В итоге, правда, оказалось все несколько скучнее… На «As All Torn Asunder» мы можем услышать привычный симбиоз мелодичного дэта с дум металлом, наполненный симфонизмами, перекличками чистого и дисторированного вокала и пограничной атмосферой, периодически нарушаемой препротивнейшим барабанным саундом, который время от времени выползает на передний план, отвлекая от всего остального. Страна происхождения в этом случае, так же дает недвусмысленные намеки на содержание лазера, шведы, они, как говорится, и в африке шведы, и наиболее сильны в альбоме именно дэтовые моменты. Но, в целом, работа не производит должного впечатления. По крайней мере, на меня. Просто хорошо сделанный альбом. Не более.

Author: Тиран

Review
Funeral Wedding
5/5

Recebido esse material há um certo tempo e fiquei encantado com a beleza do mesmo e confesso que me faltou palavras para descrevê-lo.
Encontramos aqui um death/doom muito melodioso, nos mesmos moldes que os suecos do Draconian fazem, com excessão dos vocais femininos. Há também a participação de Johan Ericson (Draconian/Doom:vs) fazendo os vocais limpos, e seu timbre me lembrou muito os vocais de Ed Warby (The 11th Hour).
Essa banda tem em sua formação ex-membros da Nox Aurea e ao comparar com sua antiga banda, nota-se um algo a mais na sonoridade.
Embrace her Pain abre essa pérola e ao escutá-la, você já percebe o que vai encontrar no álbum todo, ou seja, guitarras pesadas, vocais guturais, muita melancolia,
encontramos algumas passagens que também nos lembram Doom:vs, seja ela por seu sentimento ou por algumas vocalizações como nas faixas The Sorrow Within e Mourning of the Sun.
A Portrait of the Dying é uma faixa que começa rápida, fazendo com o doomer até esboce uma batida de cabeça, para logo dar uma quebrada em seu tempo e se manter atmosférica pelos minutos seguintes.
Solaris é uma faixa instrumental e serve de uma intro para o segundo ato do cd. Her Lost Life vem na seqüência, trazendo consigo uma dose de melancolia em seu início e tão logo ganha um pouco de velocidade. Acredito eu, que essas faixas mais embaladas sirvam muito bem para as apresentações ao vivo, dando um contraponto com a morosidade das outras músicas e não deixando o show maçante.
Chegada a faixa que o ouvinte irá decidir se deixa esse mundo ou não. In Silence I Conceal the Pain começa toda melancólica e essa tristeza vai se estendendo à medida que a faixa vai avançando e lá pela metade dela, temos uma linha de teclado que ao se misturar aos vocais de Jan Sallander, são como se um punhal lentamente fosse introduzido em seu peito.
E para a última “pazada” de terra no moribundo ouvinte, temos a faixa que dá nome ao álbum, As All Torn Asunder. E ao decorrer de seus 13 minutos temos uma música arrastada, quase Funeral Doom, alguns vocais desesperados, melodias fúnebres e uma atmosfera funesta e não poderia haver uma faixa melhor para encerrar o álbum. Os vocais limpos de Johan se fazem presentes nela, e melancolia transmitida por essa passagem é tamanha que fica impossível o cidadão não se deprimir e refletir ao ouvir “It’s the End…”.
Outro destaque para esse material é a sua arte, muito bela por sinal, casando totalmente com o clima do álbum.
Mais um ótimo lançamento da Solitude Prod., que sem dúvidas nos dias atuais, é o principal selo voltado ao estilo.

Review
Zware Metalen
7.8/10
07.07.2012

Van één van mijn favoriete labels van het moment, Solitude Productions, komt er de laatste tijd met de regelmaat van de klok wat langs. Ook altijd leuk om een kijkje te nemen op de site want daar valt nog wel het één en ander te ontdekken, zo ook het Zweedse When Nothing Remains.

Met As All Torn Asunder levert deze band haar debuut af en doet dat niet onverdienstelijk. Zoals gebruikelijk bij Solitude Productions is het een vorm van doom. Deze keer een melancholische vorm van doom/death, zoals we dat bijvoorbeeld kennen van de eerste albums van Tiamat, dus met een vleugje gothic hier en daar. Ook ligt de vergelijking met een band als Paradise Lost om de hoek te wachten. De negen vrij lange nummers worden hier allen heel degelijk gebracht en voorzien van een lekkere en net verstaanbare grunt. Voor de afwisseling komen er (uiteraard) ook cleane vocalen langs die verzorgd worden door Johan Ericsson, bekend van bands als Draconian, Doom:VS en Shadowgarden. Puntje van kritiek kan zijn dat het allemaal niet al te orgineel is en dat het album met ruim zeventig minuten niet overal de aandacht vast weet te houden.

When Nothing Remains levert wel een heel degelijk debuut af wat laat zien dat de band zeker potentie heeft en een festival als de Dutch Doom Days van mij wel aan zou mogen doen.

Author: Wouter Kooy

Review
Metallized
7.6/10

La scena doom svedese partorisce un nuovo monicker, When Nothing Remains, in realtà concepito e guidato da musicisti non nuovi a quest’ambito ed ormai giunti, dopo varie vicissitudini, alla definizione di un nuovo project. Qualcuno probabilmente ricorderà Via Gnosis, debut album della band melodic doom death svedese Nox Aurea, risalente a tre anni or sono. Da allora quella band non solo cambiò label (passando dalla Solitude Productions alla Napalm Records) ma anche line up rinunciando lungo il suo cammino a due dei suoi membri fondatori, vale a dire il vocalist Jan Sallander ed il polistrumentista Peter Laustsen (già compagni di viaggio anche nei melodic deathster The Cold Existance). Ebbene, When Nothing Remains non è altro che la nuova creatura dei due ex membri di quella band, il cui sodalizio artistico riprende (o per meglio dire continua) sotto il marchio della Solitude ma in altre forme, neppure troppo distanti da quelle passate.

Anzitutto anche As All Torn Asunder ha una durata complessiva di una settantina di minuti, il che può costituire in sé un’arma a doppio taglio, dato che da un lato è certamente apprezzabile la capacità di mettere in piedi un lavoro così ampio, mentre dall’altro non è certamente semplice tenere desta l’attenzione dell’ascoltatore per un tempo così lungo a meno che non si proponga un materiale variegato e non si introducano significative variazioni sul tema e, perché no, anche sperimentazioni in campi non strettamente affini a quello cardine, cioè il melodic doom death. Anche in questo aspetto, dunque, il duo svedese (che ha curato tutti gli arrangiamenti e suonato tutti gli strumenti su disco) sceglie di proseguire idealmente sulla strada già intrapresa nella passata esperienza comune, rinunciando però stavolta (in contrapposizione al cantato gutturale maschile) all’apporto della voce femminile, aspetto che, oltre alle caratteristiche del sound proposto, aveva a suo tempo consolidato la sensazione di un’evidente influenza dei connazionali Draconian. Ebbene, quella sensazione qui prende corpo con la partecipazione alla realizzazione di questo full-lenght da parte di Johan Ericson in persona, axeman di quella band ispiratrice (non l’unica, come vedremo nel prosieguo) e mastermind del progetto Doom:VS. Un aspetto, questo, che indubbiamente stimolerà la curiosità dei fan dei Draconian avvicinandoli all’ascolto di questo album, per di più se si tiene conto che non solo la collaborazione si è estrinsecata in un attento lavoro di produzione e mixing, ma proprio alle sue corde vocali è affidato il compito di contrastare la voce solista con toccanti clean vocal, indispensabili nell’economia di un album che altrimenti risulterebbe troppo monocorde dal punto di vista canoro; una scelta, questa, che certamente farà felici coloro i quali amano questo tipo di sonorità ma si dichiarano stanchi dell’abuso (che indubbiamente in questi anni è stato perpetrato) dell’approccio “the beauty and the beast”, che comunque se ben strutturato continua ad avere in parte il suo fascino, almeno per il sottoscritto.

Come premesso, dunque, tutto si impernia sul melodic doom death, ma è il caso di scendere più in dettaglio per esplicitare meglio questo concetto generale.
Il sound dei When Nothing Remains è anzitutto impreziosito da raffinati arrangiamenti ed è prevalentemente basato sulle tastiere (altro punto in comune rispetto al passato), praticamente onnipresenti, che riempiono tutti gli spazi intessendo le melodie e risaltando in special modo durante i momenti più distensivi o nell’introduzione di gran parte dei brani. A volte vengono usate per impostare melodie incantate, quasi fiabesche, in altre per accompagnare composizioni al piano molto intense e vibranti che ne conferiscono un tocco classico; predominano poi nelle tracce che chiudono la prima e la seconda parte dell’album. Il riferimento è rispettivamente al breve brano strumentale centrale Solaris, che svolge egregiamente la sua funzione d’intermediazione (consentendo di rifiatare dopo il non proprio agevole percorso seguito dai brani che lo precedono), ed a quello conclusivo Outro: Tears, che regala probabilmente il momento di maggior sconforto e disperazione, in un quadro abbondantemente farcito di tematiche deprimenti, tipiche del genere. Del resto basta già leggere i titoli dei brani, ma ancor di più, basta dare un’occhiata alle splendide immagini in copertina per farsene un’idea.
C’è da dire, però, che sebbene il più delle volte i consueti suoni leggeri e melliflui del synth diano un tocco in più al quadro generale, talvolta il ricorso a tali soluzioni risulta un po’ eccessivo, specie quando, piuttosto che limitarsi al loro fondamentale ruolo di copertura del sottofondo e di mero accompagnamento, tentano ripetutamente di rubare la scena agli altri strumenti.
L’andatura è per lo più abbastanza cadenzata, spesso scandita dai piatti. Purtroppo talvolta si ha la percezione che i brani non evolvano ma si trascinino stancamente lungo un percorso interminabile, spezzato sporadicamente da intensi ma brevi passaggi ritmici che si ripetono a intervalli regolari, denotando in parte un certo grado di plasticità (drum machine?). Talvolta si sperimentano anche brusche accelerazioni death doom o melodic death, in genere precedute da passaggi ritmici più spediti e caratterizzate da un riffing più serrato, al contrario di quanto succede di norma, dato che usualmente esso si mantiene sempre su toni bassi ma più dimesso e più proteso a svolgere il ruolo di solcare, assieme al basso, il terreno di una ritmica ciclica; per la verità, anche se quest’ultima a tratti va molto più spedita, in genere il riffing prosegue su linee più lente. Non mancano anche le improvvise frenate e gli sprazzi puramente doom, in cui i toni si fanno ancor più gravi, una chitarra robusta solca la retta temporale mentre l’altra tesse linee melodiche.
Il cantato, da par suo, è prevalentemente in growl, più tendente al roco nei momenti meno intensi, più raschiato, aggressivo e lacerante nei momenti di maggior impeto.

Tornando all’aspetto relativo alla durata dei brani, a volte in effetti alcuni di essi (specie nella prima parte) sembrano durare un’eternità e ci vuole tempo prima di riuscire ad apprezzarli appieno, altrimenti potrebbero risultare alquanto indigesti. L’esempio più calzante a tal proposito è Mourning of the Sun che, in circa nove minuti, non riesce a rinnovarsi adeguatamente finendo per risultare forse troppo ripetitivo, asfissiante, monotono ed alla lunga snervante. A Portrait of the Dying, di contro, è alquanto tirato, ha un ritmo più incalzante ed un riffing melodico nutrito ed essendo più breve (sei minuti e mezzo) si apprezza decisamente meglio.
Spesso nel finale entra la voce in clean di Johan Ericson, che con la sua interpretazione contrita ma anche energica ed incisiva riesce ad accrescere magnificamente il senso di pathos generale. Probabilmente, se i due stili di canto fossero stati alternati più di frequente e se alcuni brani fossero durati un tantino meno, nel complesso tutto l’album ne avrebbe tratto giovamento e ci si sarebbe potuti addentrare più comodamente verso quella che personalmente ritengo la parte più interessante del platter, vale a dire la seconda, sia per la maggiore qualità compositiva espressa che per la presenza di intriganti (seppur marginali) contaminazioni.

In particolare, in Her Lost Life, insieme alla base doom death stavolta si avvertono meno le componenti melodiche, mentre invece si scorgono influenze goth e perfino lievemente black (percepibili, queste ultime, in parte anche nel brano successivo In Silence I Conceal the Pain), che richiamano inevitabilmente alla mente il recente corso di un’altra illustre band conterranea, vale a dire gli Swallow the Sun, altra certa fonte di ispirazione (se non addirittura la principale). La parte centrale del brano, impostata in chiave spiccatamente gothic doom, è davvero raggelante perché il synth crea uno sfondo oscuro e la chitarra acustica emana suoni spettrali, con la voce in clean tenebrosa e ad un certo punto quasi mormorata, che si fa imperiosa nel lugubre passaggio doom immediatamente successivo.
Ma il brano più rappresentativo ed avvincente dell’intero platter probabilmente è, non a caso, quello che dà il titolo all’album, che oltretutto, dall’alto dei suoi tredici minuti, svetta anche per essere quello più duraturo.
Dopo un’oltremodo prolungata introduzione al synth, si sfiorano persino i classici stilemi funeral doom, parte un riffing granitico ultra lento, un drumming letargico ed in questa cornice si staglia un growling quasi sillabato, dilaniante, agghiacciante, proteso a trasmettere un incommensurabile senso di desolazione e di sottomissione all’ineluttabile, concepito per riprodurre un evento interminabile, vale a dire quello coincidente con l’esalazione dell’ultimo respiro:

From the first breath to the second
A billion years
Just an instant time for mankind
We have come to the final moment

Solo un interludio con accenni di chitarra ritmica ed arrangiamenti sopraffini poteva consentire di venirne fuori, per dar spazio al malinconico ma perentorio sfogo della voce clean prima di ripiombare in un death/doom più furente che mai, con un growl devastante, quasi in una sorta di opera drammatica in cui i vari personaggi rappresentano in realtà diverse espressioni dell’animo umano nel momento più tragico della sua esistenza.

Siamo giunti così alla fine di questo percorso certamente prolungato, irto e non privo di insidie, che potrebbe essere accompagnato (ai primi ascolti) da fatica, dall’inevitabile rischio di incomprensione o semplicemente da un condivisibile senso di pesantezza. Tuttavia, se si deciderà di percorrerlo più volte, se si riuscirà ad arrivare indenni alla seconda parte del tragitto senza avere la tentazione di abbandonarlo per sempre, allora nel tempo si verrà ripagati. Già, perché questo album è sì articolato ed oggettivamente un po’ ostico (con alcune parti francamente un po’ prolisse) ma è anche ricco di svariati motivi di interesse, specie per chi è per sua inclinazione appassionato del genere in sé. Di contro, sotto diversi aspetti già evidenziati, qualcosa in più o di leggermente diverso sarebbe auspicabile per il futuro, dato che, partendo da basi così solide e migliorando qualche aspetto, gli svedesi avranno di certo buone possibilità per entusiasmare, operazione che purtroppo con questo album sembra essere riuscita solo parzialmente.

Author: Andrea Trecarichi "Metal3k"

Review
Global Metal Apocalypse
7.5/10

So much for the respite of the Doom/Death Metal cult following, it would seem apparent that it is far from finished, considering Sweden's When Nothing Remains issues a really depressing and soul-destroying debut album entitled 'As All Torn Asunder'; the latter expressing its relation to the inaugural emotions left on the listeners mind. This is a release for the murky and sorrowful Metal fan, who castrates the eroded soul with the bluntness of an icy-biting wind. Ironically the phrase 'death do us part' would seem too much of a definite pun to accentuate the everlasting autocracy on this release.

Author: RHYS STEVENSON