(EchO) - Head First Into Shadows (CD)

melodic death / doom metal, BadMoodMan Music, BadMoodMan Music
533.33 Р
Цена в баллах: 800 баллов
BMM. 077-16 x
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Второй долгожданный полноформатный альбом итальянской группы, закрепляющий успех дебютного альбома, вызвавшего массу положительных отзывов со стороны критиков и любителей метал-музыки. Мелодичнось, атмосферность и выверенность аранжировок, вкупе с сочетанием гроула и чистого вокала, делают «Head First Into Shadows» образцом крепкого альбома, варьирующего стилистику от грубого death doom metal до утончённого post rock.Гостями на альбоме выступили Даниель Дросте, гитарист и вокалист немецкой группы Ahab, и Яни Ала-Хуккала, вокалист финской post-metal группы Callisto. Альбом был записан в нескольких студиях, мастеринг же был проведён, по традиции, Грегом Чандлером, лидером группы Esoteric в Priory Recording Studios (Бирмингем, Великобритания).

Треклист:
1 Blood And Skin 7:14
2 A Place We Used To Call Home 6:55
3 Beneath This Lake 9:35
4 Gone 10:44
5 A New Maze 6:53
6 Order Of The Nightshade 8:51

Артист:
(EchO)
Страна артиста:
Italy
Год альбома:
2016
Название:
Head First Into Shadows
Стиль:
melodic death / doom metal
Формат:
Compact Disk
Тип:
CD
Упаковка:
Jewel Case
Лейбл:
BadMoodMan Music
Кат. номер:
BMM. 077-16
Год издания:
2016
Штрих-код:
4627080611023
Страна-производитель:
Russia
Review
Iye Zine
8.7/10
24.05.2016

Non è sempre facile parlare in maniera obiettiva di una band quando si è avuta l’occasione di conoscerne i componenti, specialmente poi, quando questi si rivelano ragazzi mossi da una grande passione, altrettanto talento e soprattutto umiltà.

Gli (EchO), per fortuna, mi hanno reso più semplice del previsto le cose: il loro nuovo Head First into Shadow, infatti, non è certo un lavoro che richieda una particolare benevolenza da parte del recensore perché possa essere definito il degno successore del già ottimo Devoid of Illusions.
Quel magnifico primo full-length costituì, all’epoca della sua uscita (2011), una piacevole sorpresa, tanto più in quanto il gruppo bresciano era riuscito a manipolare in maniera personale la sempre ostica materia doom, arricchendola con sfumature post metal che non snaturavano affatto la matrice di un sound più malinconico che cupo; l’album venne registrato negli studi londinesi del guru Greg Chandler (Esoteric), musicista che ha scritto una buona fetta della storia in ambito funeral e dintorni, e il fatto stesso che una band (per di più italiana) avesse potuto avvalersi dell’aiuto di un personaggio di tale fama era sintomatico di quale fosse il suo potenziale.
Se Devoid of Illusions aveva dimostrato ampiamente che tale credito non era assolutamente usurpato, il lungo silenzio discografico che ne era seguito, unito all’abbandono della band da parte del vocalist Antonio Cantarin, rendeva non del tutto scontato che i nostri riuscissero, perlomeno, a confermarsi a quel livello.
Intanto, per Head First into Shadow, gli (EchO) hanno deciso di fare tutto da soli, affidandosi a Chandler solo per il mastering conclusivo e se, all’epoca, era stato lo stesso musicista britannico ad apparire in qualità di ospite nel brano Sounds From Out Of Space, qui i prestigiosi contributi esterni sono ben due, quelli di Daniel Droste, vocalist degli Ahab , “melvilliani” campioni del funeral tedesco, e di Jani Ala-Hukkala dei finnici Callisto, tra i precursori di quella commistione tra melodie rarefatte e sonorità estreme che avrebbe preso successivamente la denominazione di post metal.
La presenza di questi due musicisti, a rappresentanza di band che, in qualche modo, costitiscono i due poli opposti di un certo modo di comporre musica oscura, malinconica ed evocativa, delinea in maniera chiara quale sia il territorio entro il quale gli (EchO) vanno a spaziare con la stessa maestria dimostrata poco meno di un lustro fa: i sei brani proposti, per una durata complessiva di una cinquantina di minuti, riportano la band lombarda al posto che le compete, quello di vertice di un movimento musicale che affonda sì le radici nel doom ma con un approccio obliquo, al pari di quanto fatto qualche mese fa dagli altrettanto bravi Plateau Sigma.
Proprio in occasione del concerto imperiese in compagnia di questi ultimi, ebbi modi di ascoltare in anteprima quattro delle canzoni che sono confluite in Head First into Shadow, restando piacevolmente impressionato già ad un primo ascolto, e riassaporarle in una veste ripulita dalle ruvidezze derivanti dall’impatto live non mi ha certo fatto cambiare parere.
L’album si apre come meglio non si potrebbe, con una magnifica Blood and Skin, traccia all’insegna di un death doom melodico e dolente, guidato da un chitarrismo ispirato e dalla voce assolutamente appropriata del nuovo entrato Fabio Urietti, suadente il giusto nelle parti pulite e rabbioso come necessario nei passaggi in growl.
Il primo minuto di A Place We Used to Call Home si rivela, invece, solo parzialmente ingannevole, perché se è vero che l’incedere rilassato viene increspato da una brusca impennata, va detto che il brano mantiene sempre una sua aura sognante e melodica.
Beneath This Lake, con il contributo di Daniel Droste, riporta nuovamente agli umori più cupi della traccia d’apertura, per sfociare poi in passaggi prossimi allo sludge nella sua parte discendente; davvero, questo è un brano che costituisce il perfetto biglietto da visita da proporre a chi volesse avvicinarsi agli (EchO), perché qui c’è proprio tutto: la delicatezza del post metal, la pesantezza (in)sostenibile del doom più estremo, sfumature elettroniche che puntellano i passaggi più intensi, insomma, un’alternanza caleidoscopica di sensazioni.
A seguire Gone, che vede la partecipazione dell’altro ospite Ala-Hukkala, esibisce forse i momenti più fruibili nell’immediato dell’intero lavoro, esplicitando altresì la maturità artistica di questo gruppo di musicisti: il sound scorre lento, evocativo e, soprattutto, fluido; certo, Head First into Shadow non lo si può né liquidare né tanto meno provare a descrivere dopo qualche ascolto distratto, qui siamo al cospetto di musica che va elaborata con una pazienza che risulterà direttamente proporzionale all’entità delle emozioni che sarà in grado di farci provare.
Gli ultimi due episodi puntellano il valore di un opera eccellente: A New Maze rappresenta l’attimo in cui gli (EchO) raggiungono il massimo punto di vicinanza agli amici Plateau Sigma, mentre Order of the Nightshade chiude il sipario con i suoi toni drammatici, esaltati dalla voce di Urietti che sferza il muro sonoro eretto dai bravissimi e puntuali Simone Saccheri e Mauro Ragnoli (chitarre), Agostino Bellini (basso), Paolo Copeta (batterie) e Simone Mutolo (tastiere).
Chi si attendeva un’opera che consacrasse il valore degli (EchO) è stato ampiamente accontentato: Head First into Shadow è uno scrigno che racchiude musica preziosa e mai scontata, rabbiosa ed emozionante allo stesso tempo e l’unico auspicio da farsi è che non si debba aspettare altrettanto per godere nuovamente dei frutti compositivi di una band che sicuramente all’estero ci invidiano.
E noi, invece, cosa aspettiamo a supportare adeguatamente simili realtà musicali espresse dal nostro paese ?

Author: Stefano Cavanna
Review
Darkview
7/10
08.06.2016

Originally starting out as Echoes of Perdition these Ialian doommongers shortened their moniker to EchO.

On their latest album they continue in the melodic death doom vein that was made popular by the likes of Swallow the Sun, Saturnus and Katatonia. Like their Portuguese counterparts Process of Guilt they don’t shy away from adding a touch of post metal to the mix. On two songs they managed to get some interesting sessions musicians: Jani Ala-Hukkala from Finnish post metallers Callisto and none other than Ahab’s Daniel Droste. These two songs really stand out from the other material and are easily the best tracks on display here.

Author: Samoht
Review
Femforgacs
7/10
07.08.2016

Gyorsan telnek az évek a forgács hasábjain, hiszen nem ma volt és nem is tegnap, amikor az időközben pihenőre vonult zeba kolléga azzal fejezte be a olasz (EchO) bemutatkozó lemezének recenzióját, hogy remélhetőleg hamar érkezik a folytatás. Aztán telt múlt az idő, a death doom metal kedvelői minden karácsonykor szomorú boci szemekkel néztek maguk elé, mikor kibontották ajándékaikat és nem találták a banda kettes lemezét…

De a várakozás most véget ért, mert itt a Head First Into Shadows. Megkésve és némileg megváltozva a Devoid Of Illusions albumhoz képest, aminek fő oka, hogy az új lemez felvételei előtt távozott a zenekar egyik alapítója és énekese időhiányra és egyéb elfoglaltságokra hivatkozva. Az új dalok egy részén még vele dolgoztak, majd a helyére érkezett nagyon gyorsan a szintén fiatal Fabio Urietti, akiért azonban nem tudok a zenekar nyilatkozataihoz hasonlóan örvendeni. A debütálás kellemes dallamai és mély hörgései közötti kontraszt nála már kevésbé éles, a zene is sokat tompult, de úgy is mondhatjuk, hogy inkább finomodott elődjéhez képest. Sokkal nagyobb hangsúlyt kaptak a kidolgozott, akusztikus betétek, mintsem a régimódi, komótos riffek. A kezdetben komplett irányvonallal, magabiztos dalszerzéssel és játékkal szemben a folytatás ennyi év után sokkal inkább mondható újabb útkeresésnek és tapogatózásnak, mintsem egy lépcsőfoknak a zenekar életében. Nemrég az Ennui lemezéről írtam hasonlókat, ahol a funeral doom boldog, de leginkább boldogtalan zászlóvivőivel próbáltak meg változatosságot kicsikarni magukból, érdeklődést a hallgatókból, most az olaszoknál szintén hasonló eset állt elő, de itt nem a kreativitás hiánya a legfőbb ok, sokkal inkább az alibizés, a teljesítési kényszer kesernyés bűzét lehet érezni a kiadványon. Ennek legékesebb példája, hogy a lemez igazán jó dalán, csúcspontján nem Fabio teljesít kiválóan, hanem a vendégmunkásként részt vevő Daniel Druste, a németek bálnavadász brigádjából (Ahab), akinek énekhangja más dimenzióba emeli a Beneath This Lake című szerzeményt. Ugyanez a helyzet a jó tíz perces Gone esetében is, ahol Jani Ala-Hukkala segíti ki őket ezen a téren a finn Callisto zenekarból. A lemezt egyébként két teljesen önálló tétel nyitja, az indokolatlanul hosszú, de altatóként azonnal ható Blood And Skin, aminek post metalos kezdését és erőtlen extrém vonulatát csak Fabio lágy éneke és az időnkénti finom hangszerelés tudja felemelni egy bizonyos szintre. Ugyanez igaz a A Place We Used To Call Home c. dalra, csak kicsivel rövidebb kiadásban. Mankó nélkül elkészített dal még a A New Maze, ami a Blood And Skin vérszegényebb kistestvére a vége felé egy kellemes gitárszólóval, a lemezt pedig hatodikként az Order Of The Nightsade zárja, ami némileg képes megidézni azt a bizonyos debütálást, de oda is csak a lemez vége felé szúrhatták volna be.
Nem hiszem, hogy erre a folytatásra várt volna a kolléga, vagy bárki más, de itt van, visszavonhatatlanul. Nem lett élvezhetetlen a folytatás, de ennél többet vártunk, várhatunk egy ilyen ígéretes zenekartól. Remélem azért a következő lemezen már megtalálják a saját hangjukat és nem kell újabb hat évet várnunk rá.

Author: boymester
Review
Metal Talk
5/5
14.07.2016

‘Head First Into Shadows’, the second full length from Italian melodic doom/death Metal six piece (EchO) has to be not only one of the most beautiful albums I have had the joy of listening to but also one of the most broad ranging.

Their sound encompasses death, doom, black Metal and post-rock seamlessly and weaves all these elements together with beautifully mournful melody adding a rich atmosphere so the doom aspect is generally reflectively uplifting rather than mournful or depressive.

Vocally it’s a blend of powerfully and hauntingly delivered cleans, and you won’t hear me say this often as I’m not much of a cleans fan but these are superb, alongside equally powerful growls which are rather reminiscent of Chain Collectors’ Svenn-Aksel Henriksen and they are also delivered with good degree of clarity. The vocals are the “icing” on this rather excellent “cake”.

The album also features guest musicians adding to the richness of the mix; Daniel Droste, guitarist and the vocalist of the German funeral doomsters Ahab and Jani Ala-Hukkala, vocalist of Finnish post-metal band Callisto.

Sound-wise you could equate them to a mix of Kauan, Paradise Lost and the recently reviewed here on MetalTalk, The Morningside, just to get the general idea, but it’s more than that. Somehow it reaches out to you and touches the very core of your being in such a way that’s just breathtaking.

The fifty minute offering consists of six generous length tracks; opening on ‘Blood And Skin’, here reflective haunting guitar work, clean vocals and piano are balanced against harsh growls and tremolo picking along with some sublime closing lead work.

‘A Place We Used To Call Home’ opens as a post-rock offering, smoothly ramping up to crushing Melodeath before an atmospheric twist with some simple melody and keyboards and with this winning pattern creating the format of the track it is both superb and effective.

‘Beneath This Lake’ features guest vocals from Daniel Drost which add a very haunting edge and the epic eleven minute ‘Gone’ features the album’s second guest vocalist, Jani Ala-Hukkala, and has a subtle folk Metal edge in places, particularly as it opens, offset with crushing doom laced death Metal.

The 80s style progressive keyboards that open defy any insight as to how ‘A New Maze’ will continue but it’s a sublime blend of soaring cleans and harsh growls over haunting guitar and keyboard work.

The hugely reflective ‘Order Of The Nightshade’ has superbly protracted doomy bass lines alongside the harsh vocal parts, giving a crushingly heavy mood that contrasts superbly against the cleans, higher melody and haunting lead work.

‘Head First Into Shadows’ was mastered by Esoteric’s Greg Chandler at Priory Recording Studios, Birmingham, UK.

‘Head First Into Shadows’ is a sublime and sophisticated piece of genre spanning Metal of the highest order, rich and evocative, atmospheric and delivered with craft and precision. It’s the thinking (wo)man’s Metal.

Author: Jools Green
Review
The Killchain
12.08.2016

Italian masters of melancholy (EchO) have dropped the monstrous, miserable ‘Head First into Shadows’ on the awesome subsidiary of Solitude Productions (BadMoonMusic), and it is 50 plus minutes of glorious doom with elements of black and even death/doom thrown into the mix as well.
It begins with the soaring ‘Blood and Skin’, evoking Paradise Lost with grey melodies and looming riffs. Gloomy clean vocals mesh croon while a harsh rasp takes over in parts, providing brutality within the beauty. Soulful melodies lie upon the riffs like snow on frozen ground, and (EchO) aren’t afraid of a lighter touch to make their point. ‘This Place We Call Home’ could be a more doomy Porcupine Tree, with progressive acoustics blending with an almost atmospheric black metal feel. It brings to mind Panopticon, Chiral and the like, and there’s also a strong Opeth influence on the powerful ‘Beneath This Lake’.
I love the icy melodies that weave in and out of these songs, peeking out from the enveloping misery that sinks upon you as you listen to it. The monolithic ‘Gone’ is a perfect centrepiece; a dense death/doom masterwork that progresses through soft melodies and dark atmospheres. The triumphantly catchy ‘A New Maze’ leads into closer ‘Order of the Nightshade’, homje of the darkest and most insidious melodies.
‘Head First Into Shadows’ is a monument to misery, a powerful statement of intent and a stunning album. One of 2016’s best doom records, and an example to anyone who wants to know how to make metal records properly atmospheric and emotional!
Review
Metal Italia
19.07.2016

Ci ricordavamo molto bene del disco di debutto “Devoid Of Illusions” dei bresciani (EchO), autori di un doom gotico e melodico che era finito in cima alle nostre preferenze dell’anno 2011. Ce ne ricordavamo soprattutto perché a distanza di un po’ di anni, riconferemmo con immutato entusiasmo la valutazione di quel platter che in questo lasso di tempo è finito ancora diverse volte a girare nel nostro lettore, generando sempre vibrazioni positive. Questo gruppo nel frattempo ha passato le classiche difficoltà che una band, oggi come oggi, si trova quasi sempre ad affrontare: i cambi di line-up e, non ultimo, anche le pretese dei fan di voler sentire qualcosa di nuovo nel giro di poco tempo. Ebbene “Head First Into Shadows” giunge un po’ in sordina, come da indole di questa band, dopo cinque anni di attesa regalandoci cinquanta minuti di musica di primissimo livello, un vero e proprio fiore all’occhiello della scena doom italiana e non solo. Orfani del vocalist Antonio Cantarin gli (EchO) hanno reclutato il giovane Fabio Urietti che si è subito voluto ritagliare un suo spazio nell’economia del gruppo. Stilisticamente il suono della band si è evoluto, è sbocciato, maturato ulteriormente, ha acquisito ulteriore stile e riconoscibilità, si è arricchito di sfaccettature e particolarità. L’incedere lento e decadente dei brani ci richiama a tante belle cose che abbiamo sentito negli ultimi anni: dalle atmosfere calde e quasi ultraterrene degli Shape Of Despair, passando per le ultime evoluzioni vagamente Opethiane avvenute in casa Ahab, andando talvolta a pescare anche da certo post metal di gruppi di grande rilievo come Rosetta, Cult Of Luna o Callisto. Nulla è lasciato al caso in questo platter, che è composto con una cura pressoché maniacale nei particolari, a cominciare dalla produzione impeccabile ad opera di Greg Chandler degli Esoteric, passando poi per un songrwiting sopraffino, basato sull’espressività e sulla loro resa emotiva decisamente sopra alle righe. I brani sono tutti piuttosto lunghi e articolati, ma francamente non abbiamo rilevato praticamente nessun cedimento, nessun momento di noia o qualche passaggio ripetitivo o forzato. Da sottolineare anche le collaborazioni di grande prestigio presenti in questo disco. Abbiamo nominato in precedenza Ahab e Callisto non a caso visto che in “Beneath This Lake” appare in veste di guest vocalist Daniel Droste (Ahab), mentre in “Gone”, il brano più lungo del disco e forse anche uno dei più coinvolgenti, troviamo un azzeccatissimo intervento di Jani Ala-Hukkala (Callisto). Altro brano da segnalare, forse una delle canzoni più belle in questo genere, scritte nel 2016, è la bellissima “A New Maze”: così evocativa, trascinante e terribilmente toccante, specie nelle sue cangianti aperture melodiche ma anche nei suoi momenti soffusi e crepuscolari. Davvero un ritorno gradito questo, che accogliamo a braccia aperte e che invitiamo tutti gli amanti di queste sonorità ad ascoltare e sostenere sia per la qualità del materiale proposto, ma anche per il bene della scena nostrana. Bentornati (EchO)!

Author: Emilio Cortese
Review
Rockin Spain
23.05.2016

Bajo la etiqueta de Doom ambiental se presenta esta banda que intenta romper los límites del género y que ha tardado casi tres años en darle forma a la producción de este disco. El resultado del mismo tiene puntos destacables como “Blood and skin”, gran corte de apertura, “A new maze”, donde cumplen su antedicho objetivo y quizás tenga como eje del disco la superlativa “Beneath this lake” donde la banda consigue, en nueve minutos y medio, adentrarse en los terrenos del doom progresivo con una parte central que es puro death metal y finalmente incidir en la caña sin piedad no sin antes marcarse un pasaje instrumental digno de destacar.
Teniendo en cuenta el tiempo que han tardado en producir el disco no nos queda otra que reconocerles su esfuerzo pero sobre todo su loable intención de apostar por un género en el que todo el mundo repite lo que lleva grabado treinta años y nadie aporta nada. EchO al menos se molestan en estirar los límites del género y aportan si no frescura, algo distinto. Recomendable.

Author: David López
Review
Ver Sacrum
03.07.2016

Gli (EchO) riportano il death/doom più compassato e funereo alle sue origini, facendo misurato ricorso ad orpelli goth ed innalzando un muro sonoro compatto oltre il quale si leva un canto dolente che rimanda a complessi a noi cari quali Canaan e Weltschmerz (“Blood and skin”). Brani dilatati alternano esplosioni di rabbia a porzioni meditabonde, e man mano che ci si addentra fra le trame stratificate di Head first into shadows si apprezzano le doti compositive del gruppo, espresse con naturalezza da questi musici che dimostrano di aver ben appreso la lezione impartita dai maestri albionici e scandinavi del genere e che può offrire ancora interessanti spunti. Certo che opere come questa richiedono preparazione e conoscenza, affinchè ogni minima sfumatura possa venir colta, anche quando si palesano passaggi meno incisivi ed emerge una certa stanchezza di fondo (leggasi eccessiva staticità). Ma è il rischio che chi si cimenta nel doom più introspettivo deve accettare senza riserve, sta poi alla bravura dell’insieme risolvere a proprio vantaggio anche le situazioni apparentemente più difficili (ne sono eccellente esempio le riuscite “Gone” ed “A new more”). Head first into shadows si avvale della preziosa collaborazione di Greg Chandler, il quale ha già prodotto il precedente “Devoid of illusions” e quivi si occupa della masterizzazione.
Review
Metallized
8.8/10
03.06.2016

Scilla e Cariddi: da Omero a Dante, passando per Virgilio e Ovidio, letteratura e mitologia hanno fatto a gara nei secoli per celebrare, personificandoli, gli scogli letali e le correnti che dalla notte dei tempi insidiano la navigazione nello Stretto. Archetipi della pericolosità di una rotta ogniqualvolta lo spazio riservato all’equilibrio si assottiglia fino a trasformarsi in un esilissimo filo spalancato sul baratro, i gorghi di Cariddi, “che del mare inghiottia l’onde spumose”, e la voracità di Scilla, che divora corpi sulla soglia dell’antro dove dimora, non sono un invito a fuggire le sfide più temerarie ma, anzi, al contrario, si ergono maestosi come sproni al loro superamento, nel cammino terreno di uomini “non fatti a viver come bruti ma per seguir virtute e canoscenza”.
Fatte le debite proporzioni e depurata la materia dai risvolti mistici, questa è a grandi linee la condizione del metal ascoltatore di fronte alle uscite tricolori, preso quasi inevitabilmente a mezza via tra Scilla/esterofilia e Cariddi/nazionalismo. Ci si può mettere tutta la buona volontà per provare a circumnavigare il problema ripetendosi che la musica è un linguaggio universale, che la qualità non ha latitudini, che saper suonare è un dato di fatto coi crismi dell’oggettività, ma arriverà sempre e comunque il momento in cui l’orecchio correrà inevitabilmente uno dei due rischi, tra la domanda se quello che si ascolta lo fanno meglio altrove o se sia un dovere morale sostenere la “nostra” musica. Ecco allora dibattiti interminabili sull’eccessiva indulgenza o, all’opposto, sulla genetica propensione a deprimere tutto ciò che germogli al di qua delle Alpi, con il serio rischio che, a rimetterci, siano in definitiva solo ed esclusivamente le band, che immaginiamo difficilmente entusiaste di vedersi valutate sulla base di ostentate conterraneità o di filtri esotici.

Così, più o meno inconsciamente, ci siamo un po’ tutti dotati di portolani pentagrammatici che rendano più agevole la traversata, magari a costo di rendere a volte discretamente “cerebrale” l’approccio alla musica ma quasi sempre con la speranza nascosta che arrivi qualcuno che ci costringa a buttare a mare bussole, sestanti e giroscopi trasportandoci al di là dei pericoli con la sola forza delle emozioni.
Quasi cinque anni fa l’impresa era riuscita a un sestetto bresciano allora al debutto, che, sotto la guida alla produzione di un gigante come Greg Chandler (cuore pulsante degli Esoteric), aveva stupito l’universo doom/death con un album in grado di attraversare il confine dell’eccellenza per spingersi verso la dimensione del capolavoro. Stiamo parlando degli (EchO) e l’album in questione è quel Devoid of Illusions che i Nostri hanno portato sui palchi di mezza Europa accanto ai sommi maestri del genere (basti il nome Saturnus per riassumerli tutti), riscuotendo credito e plauso pressoché unanimi. Molto è successo, inevitabilmente, nel volgere di queste quasi sessanta lune e non tutto è sembrato procedere per il verso giusto, fino alla notizia della dipartita dal gruppo del singer Antonio Cantarin, uno dei punti di forza del combo e autentico mattatore delle prove live. Ma, a dispetto di chi pensava di aver scorto fatali scricchiolii nel futuro della band, i bresciani riemergono dal silenzio con un nuovo lavoro, che dimostra come talvolta lo scorrere del tempo riesca a essere direttamente proporzionale al fuoco d’artificio prodotto dalla fine dell’incertezza.
Sì, perchè questo Head First into Shadows riesce non solo nell’impresa di ripetere il miracolo del predecessore ma anche di farlo senza assolutamente affidarsi a un cliché, affrontando coraggiosamente prospettive in buona parte diverse e più ampie rispetto alla matrice. Beninteso, l’universo in cui spaziano gli (EchO) è sempre costituito in larga parte da materia ed energia oscura, ma l’approccio alla navigazione è stavolta decisamente più multidirezionale, alla scoperta di apporti eterogenei che contribuiscano ad arricchire una tavolozza dei grigi ancora una volta più orientata ad affrescare la malinconia che a tuffarsi negli abissi della disperazione. Così doom e death si intersecano con suggestioni post metal, gothic, prog e addirittura blues, il tutto con una naturalezza che non solo tiene lontano il lavoro da quelle sensazioni di “accatastamento di ascendenze” che spesso nascondono operazioni ad elevato tasso di ruffianeria, ma, soprattutto, testimoniano una profondità di ispirazione che è il vero tratto distintivo dei capolavori.

Intanto iniziamo subito a sedare eventuali dubbi derivanti dal cambio di cantante: Fabio Urietti raccoglie un’eredità pesante ma la sua risposta sul campo è davvero sorprendente per maturità e varietà di esiti. Sicuro nel clean e abrasivo quanto basta nello scream, non ha probabilmente nel growl catacombale di marca Thomas A.G. il suo punto di forza ma, proprio per questo, evita di scimmiottare modelli improbabili ripercorrendone i passi, gestendo con equilibrio le proprie qualità. Il versante vocale dell’album, peraltro, risulta essere uno dei più “presidiati” dalla band, come dimostra il ricorso a due ospiti più che d’eccezione del calibro di Daniel Droste (frontman degli Ahab) e Jani Ala-Hukkala (dal 2009 al microfono dei finlandesi Callisto) e non è certo un caso se nell’intero dipanarsi delle tracce il cantato non conosca passaggi a vuoto o cali di tensione. Detto di una prova solidissima della coppia d’asce Ragnoli/Saccheri, una nota di merito particolare va tributata al lavoro alla tastiera di Simone Mutolo, maestro di atmosfere nelle parti più delicate, ma fondamentale anche ad accompagnare i passaggi in cui l’energia deflagra incontenibile (qualcuno ha detto Aleksi Munter?…).

La cifra artistica dell’album emerge chiarissima già dall’opener, Blood and Skin, il brano più canonicamente doom/death del lotto, vergato da indubbi richiami agli Swallow the Sun (a cominciare dal cantato di Urietti, qui sulle tracce di sua maestà Mikko Kotamaki e tutt’altro che a disagio, nella resa), ma attenzione però, perché, laddove a completare le assonanze ci si attende una classica sfuriata di scuola Raivio/Jamsen, qui spunta invece uno struggente riff dai tratti floydiani che smorza la tensione magistralmente e riporta il viaggiatore in una dimensione più delicatamente a misura d’uomo. La prospettiva cambia immediatamente con This Place We Used to Call Home, arricchita da venature prog che rimandano a un quadro d’insieme opethiano, in cui i Nostri trovano il modo di incastonare anche un passaggio folk, a dimostrazione dei livelli di poliedricità raggiunti e della fermezza della mano nella contaminazione dei registri.
La “finestra degli ospiti” si apre con Beneath This Lake, dove il contributo di Daniel Droste porta pressoché inevitabili richiami a quel nautik doom di cui gli Ahab stessi si proclamano alfieri: una litania che riecheggia il canto sinuoso delle sirene, sciabordii di risacche, onde che si gonfiano all’improvviso, tutto sembra convergere verso il trionfo dell’elemento liquido, che satura i solchi prima che il dissonante vento finale asciughi corpi e scafi. Si vola verso la qualifica di “best of” dell’album con la successiva Gone, divisa nettamente in due tra un avvio melodic death dietro cui si intravedono distintamente le sagome di Insomnium e Amorphis e uno splendido finale dominato dalle inquietudini post metal a forti tinte “cosmiche” esaltate dai Rosetta di The Galilean Satellites (anche qui il brano risulta cucito perfettamente sulle caratteristiche dell’ospite, se pensiamo che i Callisto sono ai vertici della diramazione scandinava del post metal).
E’ ancora il prog affogato in una struttura death a segnare per larghi tratti indelebilmente il corso di A New Maze, ma anche in questa occasione gli (EchO) evitano di replicare soluzioni già sperimentate e offrono una salutare divagazione in territorio atmospheric rock, quasi allentando la presa sul ritmo per sottolineare gli aspetti più “lirici e poetici” della loro ispirazione. La calma instillata nella trama sembra poter dilagare anche nella conclusiva Order of the Nightshade, ma si tratta di una tregua di breve durata, perché se è vero che la potenza viene ancora tenuta a freno, è altrettanto vero che la traccia si anima presto di spettri e figure in dissolvenza, che portano sulla scena affanni e turbamenti. Con simili premesse, non stupisce che ci si trovi stavolta di fronte a un doom discretamente orientato verso il gothic (prontamente sottolineato dallo scream di Urietti, qui molto vicino a uno dei “maestri mediterranei” del genere, Josep Brunet degli Helevorn), ma per un’ultima volta gli (EchO) trovano il modo di stupire, regalando un elegantissimo assolo blues che galleggia divinamente tra David Gilmour e Roberto Ciotti, prima della canonica esplosione finale.

Etereo e allo stesso tempo sorretto da architetture ardite, capace di brandire indifferentemente il cesello e la spada, distillato di generi in ricomposizione in un turbinio di alchimie sempre nuove e cangianti, emozionante fino al midollo, Head First into Shadows è un album che rivendica prepotentemente uno dei posti d’onore tra le uscite di questo 2016. L’Italia ha perso definitivamente gli (EchO), questi sei ragazzi sono ormai un patrimonio mondiale della metal umanità.

Author: Gabriele Zolfo “Red Rainbow”
Review
MetalPit
8/10
23.05.2016

Devoid of Illusions (il loro lavoro precedente) è stato un disco intenso, pregno di emozioni, di una raffinatezza esemplare, frutto del lavoro di una band giovane ma capace, mescolato all’esperienza e alle grandissime doti di Greg Chandler (Esoteric) che li ha guidati nel processo di concretizzare le loro idee. Head First Into Shadows è un lavoro totalmente nuovo, della stessa pasta del predecessore ma di un sapore leggermente diverso.
Questo nuovo capitolo della storia della band Bresciana è infatti più personale, più ponderato, costruito in maniera intima nel corso degli ultimi anni, e fortunatamente le grandi idee e la qualità sono rimaste invariate nonostante il cambio di Frontman.
Nel doom metal rimanere originali e personali è difficile quasi quanto scrivere un capolavoro, e gli (EchO) hanno fatto un deciso passo verso questa direzione, perdendo un po’ di patina data dalla grandissima produzione, in favore di un po’ di genuinità e confidenza. Head First Into Shadows è un disco molto vario pur essendo ben saldo nel suo genere, riesce ad unire le sonorità classiche del Doom a suoni e soluzioni leggermente più Prog e Settantiane, che di sicuro aggiungono valore al disco, raccordando il tutto con leggerissimi riferimenti al Goth anni 80 e addirittura al blues/folk che fa capolino qui e li nelle sezioni più rilassate di questo lavoro.
Il lato splendido di questo album è la facilità con cui si entra nel mood dei pezzi, la facilità con cui la storia che raccontano ti entra dentro, coinvolgendo in questo mix di sensazioni fra solennità, tristezza, malinconia e nostalgia. I punti forti secondo me sono proprio la capacità di far immedesimare l’ascoltatore negli stati d’animo che tratta la musica degli (EchO) e l’equilibrio fra elementi musicali.
Il disco infatti coinvolge senza mai stancare, è longevo e ben strutturato, impreziosito da due guest vocali, rispettivamente Daniel Droste degli AHAB e Jani Ala-Hukkala dei CALLISTO che vanno ad aggiungere quel tocco di magia che rende Head First Into Shadows ancora più interessante.
Il lavoro è caratterizzato da una produzione molto sincera e senza fronzoli (come per il primo lavoro, il master di questo disco è stato realizzato da Greg Chandler), che non distoglie l’attenzione dalla musica di per se e che si sposa con il concetto di semplicità coerente con l’artwork.
Qualitativamente parlando questi ragazzi hanno alzato ancora l’asticella, dando ulteriore prova che la scena Doom/Sludge italiana è bella viva e ruspante, a discapito delle dicerie che danno il nostro paese come arretrato, morto e poco credibile in ambito metal.
Se siete fans di Funeral, AHAB, Amorphis, Esoteric, Swallow the Sun, Paradise Lost, Callisto, Ghost Brigade e Sisters of Mercy, questo disco fa per voi.

Author: Tank
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