Who Dies In Siberian Slush - Вitterness Of The Years That Are Lost (CD)

Review
Metallized
7.6/10

Un piovoso pomeriggio autunnale, fuori piove ed io sono rintanato in casa con la febbre alta. Quale momento più adatto per affrontare l'ascolto di questi Who Dies In Siberian Slush?
Forse il loro nome non vi dirà nulla, ma la band proviene da Mosca ed è al debutto assoluto tramite l'omnipresente Solitude Productions, la quale ha licenziato questo gioiellino di funeral doom sulla scia di progetti come Longing For Dawn, Colosseum, Worship e - come cita la stessa biografia del gruppo- i My Shameful. Questo Bitterness Of The Years That Are Lost è composto da sette raggelanti episodi che alternano momenti di puro isolazionismo e partiture più articolate, per un totale di quarantacinque minuti abbondanti di musica.

Leave me è un'opener quantomai azzeccata: introdotta da dolci note di piano, il brano sprofonda velocemente in un abisso nerissimo di suoni rarefatti ed atmosfere impalpabili che si diffondono come gas all'interno degli ambienti, mescolando momenti più asfittici ad arie di pregiata bellezza, mentre le dolci note del pianoforte continuano a risuonare in lontananza. E' da lodare l'ottima produzione dell'album, pulitissima e abbastanza potente, effettuata presso i Primordial Studios, dove già hanno registrato diversi compagni d'etichetta come gli Abstract Spirit, i Revelations Of Rain, i Comatose Vigil, etc.; tuttavia uno dei punti di forza di questa band è soprattutto la grande capacità di creare melodie che si articolano efficacemente su brani che si muovono su tempi poco più che striscianti.
The Woman We Are Looking For si apre con una performance chitarristica che, se suonata ad altre velocità, avrei catalogato come un assolo, ma che quì si dilata a tal punto da disgregare anche il concetto stesso di tempo o di battute, risuonando in un ambiente senza colori e senza forma che proietta l'ascoltatore in una dimensione atemporale. Chiunque abbia amato le atmosfere siderali dei Thergothon non potrà non apprezzare tracce come Mobius Ring, mesta e solenne nel suo incedere funereo, senza nessun accenno al movimento, e che rimane ancorata per oltre sette minuti su tempi ultra slow. Quando l'atmosfera è praticamente giunta a livelli di saturazione insostenibili, giunge come una ventata d'ossigeno la strumentale Interlude, la quale riprende il tema dell'opener, interpretata col solo pianoforte, in maniera, se possibile, ancor più deprimente ed angosciosa. Testament Of Gumilev si rivela uno dei brani più solenni dell'intero lavoro: lentissima e caratterizzata da atmosfere maestose, ma purtroppo il tutto viene sporcato da un cantato in lingua madre che, nonostante la quasi impenetrabilità del growling, suscitano in me la convinzione che certe lingue non si adattino minimamente alla musica e che verrebbero ben sostituite dallo standardizzato uso della lingua inglese. Sfortunatamente la biografia in mio possesso non dà grandi informazioni al riguardo, ma a quanto pare su quest’album sono presenti diversi ospiti dietro al microfono, che provengono da altrettante formazioni russe quali Amber Tears, Elnordia, Abstract Spirit ed i già citati Comatose Vigil.
An Old Road Through The Snow è una dolce nenia acustica che ci intoduce alla conclusiva title track, la quale, nei suoi nove minuti abbondanti, è capace di riassumere egregiamente tutte le ottime atmosfere dell'album. Inutile dire che si tratta di un brano lentissimo e asfittico, nel quale però è possibile ascoltare alcune influenze più marcatamente death/doom, come ad esempio il tipico uso delle clean vocals oppure uno stacchetto in doppia cassa che anticipa un rallentamento mozzafiato.

Ormai il termine funeral doom è divenuto un appellativo fin troppo diffuso anche tra le bands meno inclini a questo genere; così raccomando l'ascolto di questo lavoro ai soli amanti dell'ultra slow doom, i quali con questo Bitterness Of The Years That Are Lost avranno certamente di che gioire. Una sola raccomandazione: a fine ascolto, prima di alzarvi dalla vostra poltrona, fate un paio di respiri profondi per riprendere i sensi ed evitare i capogiri.

Author: Furio

Review
Metalkrant
15.02.2011

Het blijft altijd uitkijken naar een release van Solitude Productions, het voorname Russische label wat doom metal betreft. En ook ditmaal worden we niet teleurgesteld.
WDISS brengt een mix van melodic doom metal met atmosferische doom ambient, waarbij dit vijftal er uitstekend in slaagt om Siberië in de huiskamer te brengen. De fragiele vocals in combinatie met ijskoude riffs en koelbloedige, doch atmosferische keys, weet op een overtuigende manier de luisteraar vanaf het eerste lied te teleporteren naar een koude, Siberische ijsvlakte, waar men op de rand van depressie en alcoholisme verkeert.
5 overtuigende doom metal tracks worden afgewisseld met 2 indrukwekkende instrumentale ambient nummers, die geheel in Empyriumeske stijl worden gebracht.

Conclusie:
Een uitmuntende release van een uitmuntende doom metal band. Al is dit het eerste werk dat deze heren officieel uitbrengen, dit album zal hoge toppen scheren. Een uitstekende mix van doom en ambient, waar zelfs Empyrium trots op zou zijn. Een must-have voor Empyriumfans, een aanrader voor de liefhebber van melodische doom metal.

Author: Gert Maris

Review
Kaosguards
31.01.2011

Un nom pour le moins étrange, une illustration inhabituelle : voilà de quoi cultiver le mystère et aiguiller l’attention.

Initialement le projet d’un seul homme, WHO DIES IN SIBERIAN SLUSH est né en Russie en s’adonne sur ce premier album à la noirceur absolue, aux confins du Doom Death et du Funeral Doom. Le tout sans prétendre révolutionner quoi que ce soit. On évolue en terrain très classique : des morceaux pour la plupart longs et très lents, des rythmiques écrasantes, des vocaux gutturaux, caverneux et presqu’indistincts.

Qu’est-ce qui différencie « Bitterness Of The Years That Are Lost » du gros de la troupe ? Sa capacité à apporter de la clarté et de la nuance dans ce paysage granitique. Ainsi, les guitares sont intelligibles, souvent mélodiques, certaines interventions assumant un cousinage avec le Heavy Metal traditionnel. Les arrangements de claviers offrent un contraste très efficace à la grandeur impressionnante des riffs ; ils apportent indubitablement une perspective lyrique, d’un sombre romantisme (un peu à la manière d’un MY DYING BRIDE).

A vrai dire, le répertoire proposé par WHO DIES IN SIBERIAN SLUSH s’adresse avant tout aux adeptes de FUNERAL, SHAPES OF DESPAIR, EVOKEN et consorts. Un néophyte qui tenterait l’écoute intégrale de « Bitterness Of The Years That Are Lost » s’exposerait à une alternative drastique : le rejet pur et simple ou la conversion totale. Il faut parfois vivre dangereusement.

Author: Alain Lavanne

Review
Heavy Impact
6.5/10
31.03.2011

Quando si parla di Doom Metal, c’è sempre il rischio di incorrere in lavori che seppur fedeli alle dinamiche del genere, spesso non riescono a far propria la componente votata la trasporto, ovvero, quella che è con tutta la probabilità ciò che ancora fa di questo genere, in alcuni casi, un genere vincente.

Nel caso dei russi Who Dies in Siberian Slush e del loro album “Вitterness of the Years that are Lost”, ci si trova al cospetto di una band formalmente ottima, ma che però deve ancora sperimentare dal punto di vista della personalità. Quello proposto dai russi è un Doom Death Metal, con chiare referenze ai vari Anathema (degli esordi) e My Dying Bride, dove alla corposità del Doom/Death si aggiungono melodie malinconiche. Descritto in tal modo potrebbe sembrare un classico album clone, ma in realtà e tenendo conto delle referenze di cui ho già parlato, vi è un mood di fondo algido e distaccato che dona qualche vena particolare ai brani. Tale particolarità è data dalle note di pianoforte (di chiaro stampo classico) che si introducono sempre in maniera ottima all’interno delle cortine buie del riffg e delle pachidermiche ritmiche.

Naturalmente questo non basta a far decollare il disco ma rende comunque non avari di attenzione brani come: “Mobius Ring” o come la finale “Вitterness Of The Years That Are Lost”, che nei suoi nove minuti regala sensazioni di buia eleganza.

Un lavoro sopra la sufficienza, che potrebbe risultare appetibile a chi non è nuovo alle sonorità in esame. Per i neofiti, sarebbe meglio partire dai lavori che hanno fatto la storia.

Author: Andrea Angelino

Review
Hellride Music
17.12.2010

This is the first official full-length of this Russian funeral doom band, and featuring a full line-up instead of the solo/one-man show that it has been previously. The best way to describe this one aside from the accurate album title is to say that it was a fitting soundtrack to the weird old Swedish movie “The Virgin Spring” , the one where the rich farmers daughter gets raped and beaten to death on her way to take the virgin candles to the church miles away and then the three brothers that did the deed wind up on the farm as lodgers, only to meet a violent death rather quickly when the parent figure out who they really are. Tragic and suspenseful is what this release is and yet another one for this genre that could easily be a one-note style but instead shows experimentation and variation with labels like this one scouring the Earth to find the unique sounds that it does. The sense of bitterness and struggle is strongly present and many can feel it with each epic track.

Author: Janet Willis